qualcuno una volta mi disse che era inutile, se non allo scopo di attrarre condivisioni e commenti, rievocare in poesia tragedie come quelle successe in Nigeria qualche giorno fa : tanto ne era piena la tv, i giornali, internet. A che scopo “riviverle”, che utilità poteva avere riaccendere la luce su di esse. Tra l’altro aggiunse che per averne coscienza e concezione -e quindi scriverne- fosse necessario averle vissute. Come se già l’accadimento stesso della morte non bastasse a provocare una sorta di rigetto (sebbene “poetico”) ma avesse bisogno di essere certificata dalla “presenza” per essere raccontata e/o denunciata.
In proposito ho una mia idea assolutamente dissimile da tutto ciò, mi piacerebbe che chi avesse voglia e tempo lasciasse una propria riflessione in merito. Ciao
sulla morte in “diretta”

Secondo me il poeta è figlio dei propri tempi, quindi non può non vedere e filtrare quanto gli accade intorno. E’ chiaro che non dveve cadere nel banale, tipo autunno… cadono le foglie. Ciao Poeta!
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come darti torto caro Flavio, se vedessimo e basta saremmo inutili involucri e ancor di più se non provassimo a darne contezza, magari scrivendone, che senso avrebbe tale capacità! Un caro saluto a te. Ciao
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Ho letto con vero godimento i vari commenti e sono d’accordo sui giudizi. In pratica non aggiungerei nulla a quanto già è stato scritto.
Credo che sia sempre giusto esprimersi come, dove e quando se ne senta la necessità.
Nessuno è obbligato a leggere.
Cordialmente,
Lauraluna
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grazie Laura.
L’argomento si presta a molteplici punti di vista ma come hai letto, fondamentalmente abbiamo la stessa opinione : all’emozione non si può dire di no. Ciao
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parlarne, parlarne sempre, chi non vuol leggere vada altrove. buondì saro…
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condivido in pieno viki, ciao!
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Sepulveda diceva “narrare è resistere”.
Scrivere è un modo per interiorizzare, decifrare, comprendere.
La necessità di ripercorrere certe tragedie con il racconto e di condividerne le emozioni, che comunque provocano, anche se non vissute direttamente, tira in ballo quel valore morale che, in fondo, la scrittura non può trascurare. Si scrive anche per commentare: la bellezza dei versi va di pari passo con la riflessione. E per condividere: non per narcisismo, ma per la voglia di partecipare e interrogarsi su fatti che, anche se apparentemente distanti, ci riguardano. Tutti!
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mi pare una bella metafora : resistere con le parole è forse la vera essenza che ci rende in qualche modo partecipi, sostanza e non mera presenza. Grazie del tuo contributo, apprezzatissimo! Ciao
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Grazie a te!
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se ognuno di noi parlasse o scrivesse solo di quello che si vive in ‘diretta’ alla fine ci parleremo solo addosso senza oggettività ma nemmeno soggettività. E’ chiaro che le nostre percezioni sugli avvenimenti che non ci vedono coinvolti sono sensazioni che gli stessi generano. Se parlassi o descrivessi, quelli in cui sono stato coinvolto, mi mancherebbe la lucidità di parlarne con criterio ma solamente sulla scorta delle emozioni che gli stessi generano. Anche dopo la lucidità mancherebbe, perché sarebbero filtrati, adattati nel tempo per rendere credibili quelle sensazioni.
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Un punto di vista il tuo che considero coerente e razionale ma anche emotivamente congruo. Scrivere è qualcosa che non si può impedire, soprattutto quando il coinvolgimento empatico, emotivo, rabbioso, denunciante non lascia “scampo”. Non si può impedire alla “voce” di manifestarsi : altra cosa è farlo solo per apparire o per dire qualcosa. Ma credo che questo punto sia stato già ampiamente stigmatizzato. Grazie per aver contribuito alla discussione. Ciao
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Discussione interessante alla quale ho partecipato con piacere.
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A mio modesto avviso parlare dei problemi e delle tragedie è sempre utile, anche se ne hanno già parlato – troppo e male – gli altri. È bene ricordare in ogni caso, specialmente quando, dopo i brevi clamori, le tragedie cadono nel dimenticatoio. Fai benissimo a parlare di ciò che avviene nel mondo e fai bene a farlo in forme diverse. Con parole che restano nella memoria più di un’istantanea e sterile cronaca.
Ciao
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grazie della condivisione, sono sempre stato convinto, al di là di ogni giudizio, che la parola (ci metterei anche la musica, ma in questo ho ancora meno capacità che in poesia, il che è tutto dire 🙂 ) o comunque la comunicazione sia stata e sempre sarà la forma più alta del “percepire”, del sentirsi vivo, del creare in qualche modo comunità. Sai reputo l’assuefazione una forma di schiavitù, peggio delle catene, una sorta di prigione mentale in cui ci hanno costretto : dici bene quando sottolinei che sempre più spesso e purtroppo simili tragedie cadono nel dimenticatoio. Magari scriverne può aiutare a non sentirci soli. Ciao
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Grazie a te per lo spunto! Ciao
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La poesia e l’arte devono raccontare ciò che succede nel mondo, Primo levi raccontò I campi di sterminio con “se questo è un uomo”. Guai mettere un freno all’arte, che è pura espressione del più alto sentire umano. La televisione invece è spazzatura manipolata, non si limita a raccontare un fatto, crea uno spettacolo, ogni morto è odience assicurata, un grande intrattenimento e un ottimo diversivo per non parlare di altri problemi. Parlare di una morte in diretta o di una qualunque morte è utile se da questa cosa drammatica, si può trarre un bene, un rimedio per altri, sia in parole povere “costruttiva”. Altrimenti siamo spettatori come al tempo degli antichi romani, seduti sugli spalti del Colosseo ad assistere allo spettacolo (anche allora), di una morte in diretta. Buona serata, Giusy
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concordo sentitamente sul tuo assunto Giusy, scrivere è la porta oltre il male, oltre l’indifferenza agghindata da perbenismo, l’altra sponda su cui giungere e piantare l’emozione. Sebbene scriverne può in qualche modo voler dire “guardare” è indubbia la sua capacità di scuotere e magari provocare una reazione, forse solo di coscienza, ma sono convinto che mai come adesso la coscienza debba essere “provocata” e se scriverne può assolvere tale scopo che ben venga. Grazie, ciao
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La forza della parola è inaudita, tutti i potenti la temono e da sempre viene in ogni modo oscurata, perciò: scrivere, scrivere, scrivere. Io nel mio piccolo ho pubblicato 5 articoli intitolati: mio padre mi raccontava. Attraverso gli occhi di mio padre ho “raccontato” il periodo fascista e tutto ciò che ruotava in quel momento storico, sono saltate fuori tante cose che i libri non scrivono…ed io ne sono fiera. Peccato, che non siamo riusciti ad entrare in sintonia con i nostri blog, ciao Giusy
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Ah, come sento vivo questo tuo modo di “gridare” scrivere, scrivere, scrivere!!!!
Per i nostri blog magari sarà la “parola” a decidere se e quando e se accadrà ne sarò felice 🙂
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Allora ti invito ufficialmente a dare una sbirciatina, in prima pagina c’è un post che ieri ha avuto 102 visualizzazioni, poi se vuoi troverai anche la storia di mio padre. Io ti ho aperto la porta, a te l’invito ad entrare, alla parola la decisione se rimanere. Felice notte, Giusy
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accetto l’invito e appena mi sarà possibile lascerò un segno. Ciao e felice notte a te
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In effetti, concordo con le parole degli altri. Sono io stessa spesso combattuta, non mi piace molto partecipare al “troppo rumore” che certi fatti eclatanti suscitano, però ovviamente alcune cose non lasciano indifferenti e allora mi prendo il mio tempo, scrivo se mi va di farlo, se le parole “hanno bisogno di uscire”, a volte non dico neanche da quale episodio in particolare nasce una cosa che scrivo, Penso che le poesie, i racconti, la scrittura in genere siano comunque molto personali, e al tempo stesso sempre universali, anche quando sembrano riferirsi a fatti specifici. Magari una cosa scritta anni fa, per qualcosa che appartiene alla storia, può colpire oggi per motivi del tutto diversi, ma comunque legati al dolore, alla gioia e ai sentimenti umani in genere, che sono sempre gli stessi dopotutto.
Un abbraccio anche da parte mia 🙂
Alexandra,.
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Alexandra condivido la tua tesi e da quello che ho inteso non reputi inutile scriverne sebbene con i tempi e i modi che ognuno sente o prova. Volevo mettere l’accento non sui tempi ma sulla necessità di mettere in versi (prima o poi) la rabbia, il dolore, la pietà per le tragedie alle quali quotidianamente assistiamo. Non mi permetterei mai di giudicare chi lo fa tantomeno chi non lo reputa utile o doveroso a prescindere dai motivi. Quello che invece mi addolora è il giudizio netto di chi invece non apprezza e non approva coloro che il “richiamo” a parlarne -scrivendone- lo sentono in maniera quasi impellente e non per una forma di presenzialismo ma solo come un modo per sentirsi “parte” e vicinanza. Ciao e grazie
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No, certamente non credo sia inutile scriverne!
Dicevo solo che a volte sembra quasi “d’obbligo” scrivere di qualcosa di cui si parla tanto, allora forse chi ti ha dato quel “giudizio” così netto poteva essere irritato da questo aspetto che a volte si vede,
Anche persone in peretta buona fede sembrano quasi, in certi casi, scrivere perché “qualcosa bisogna dire”, magari perché si sentirebbero in colpa se non lo facessero (a me è capitato in effetti di avere un riflesso di quel tipo, perché magari, in quel momento, non era per me il “tempo giusto” e avevo preferito tacere.)
Ma io non ho dubbi che se c’è una “necessità” di scrivere, se si hanno davvero delle emozioni forti e ci si sente vicini a qualcosa che è accaduto, sia sacrosanto scriverne!
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Alexandra sono in sintonia col tuo dire, quel giudizio di cui accennavo è stato per me assolutamente netto e fuori luogo perchè espresso da una persona che reputo sensibile al di là sei suoi meriti di scrittore (per me senza dubbio notevoli). E proprio per questo mi ha fatto male : non “toccava” la mia poesia -opinabile e criticabile assolutamente- ma andava a ledere quella che era stata la mia emozione (quindi la parte più intima e sofferta) di fronte a una tragedia. Poi sono d’accordo con te su chi scrive solo per sentirsi in qualche modo presente o solo per dire qualcosa. Grazie, un abbraccio 🙂
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Ricambio!
Buona serata
Alexandra
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attrarre condivisioni e commenti non credo sia proprio il tuo scopo, anzi, non è nemmeno uno scopo. Scrivere poesie è un linguaggio per manifestare la propria sensibilità nei confronti anche di accadimenti pieni di orrore. Ognuno di noi ha una reazione del tutto personale, chi preferisce il silenzio, chi la riflessione, chi si volta dall’altra parte forse con lo stesso orrore. E chi ci scrive una poesia. Questo è il mio parere. Un abbraccio Rosario.
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Grazie Massimo per il commento e la stima, condivido in pieno il tuo “comportamento” rispetto a quanto da me sollevato : alla fine il rispetto per l’altro va oltre la scrittura o meno, mi stuzzicava sapere se scriverne potesse essere inutile. Tutto qui. Ciao, un abbraccio
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Carissimo Rosario,
io sono il classico tipo che ama le estemporanee, ossia, scrivo di eventi dopo che la scia del clamore ha lasciato spazio al silenzio e si è adagiata sulla soglia del dimenticatoio…
Per fare un esempio, ho scritto una poesia sul Kursk (il celeberrimo sottomarino russo divenuto tomba per il suo stesso equipaggio), esattamente al giorno del decimo anniversario della tragedia.
Penso che sia giusto dare voce alla propria indignazione, come penso sia giusto rispettare chi la soffre silentemente. Mi risulta insopportabile solo l’indifferenza.
Un abbraccio.
brigi.
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pensa che io ho scritto anche della prima guerra mondiale, un pezzo di narrativa che riguardava mio nonno che forse qualche giorno pubblicherò. Comunque mi riferivo all’impatto emotivo che simili tragedie possono provocare a prescindere se immediato o decantato, la mia voleva essere una sorta di presa di coscienza sullo scrivere o meno di simili tragedie. Volevo focalizzare l’attenzione sul “bisogno di mettere inchiostro”, capire se effettivamente la necessità di denunciarne l’orrore potesse essere condivisa o se il mio interlocutore di qualche tempo fa avesse ragione nel definirla un cosa inutile. Grazie Brigida, ciao
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Mai inutile (per me…)
Bacioni
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Ti abbraccio 🙂
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