Etnia di grande eredità spirituale ed intellettuale, considerata a ragion veduta la più antica al mondo, la aborigena ha sempre incentrato ed organizzato la propria vita sul rispetto, la devozione e l’omaggio alla Terra, unica fonte di ispirazione e fede per questo popolo, che ha saputo fin dagli albori della propria civiltà vivere in perfetto equilibrio ed armonia sia con l’ambiente esterno, sia con tutti gli esseri viventi che lo abitano.

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In principio comunità nomade, che adattava i propri spostamenti ai cambi delle stagioni come al trasferirsi degli animali, dei quali si cibava, in diverse aree, quella aborigena viveva nei periodi di stabilità in caverne, campi aperti e al riparo di semplici strutture di foglie secche e frasche. Questo stile di vita estremamente autentico, istintivo, profondamente legato all’essenza stessa dell’esistenza e del creato, ha sviluppato in loro un sentimento religioso -in senso lato- legato all’Epoca o Tempo del sogno, periodo mitologico primordiale avvenuto anteriormente della creazione del mondo e che unisce tutte le differenti tribù autoctone: in questo tempo leggendario, i primi esseri, gli Antenati Totemici o Creature Sognanti, attraversarono l’immenso continente vivendo ogni cosa succedesse loro come unica e prima, imprimendone il ricordo nella terra, cantando il nome di tutto ciò incontrassero lungo il cammino, fossero essi alberi, animali, fiumi, rocce, montagne… dando così origine al mondo conosciuto. Ecco quindi la creazione di una mappa fatta di musica, dove il corpo, la terra ed il suono sono le coordinate per poterla attraversare, una carta geografica metafisica e terrena al tempo stesso che include la sacralità di tutti gli elementi naturali uniti alla capacità di profezia dei sogni.

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Tutti i racconti del tempo ancestrale vennero tramandati attraverso canti tribali, resi in questo modo gli unici mezzi capaci di mediare il linguaggio terreno con quello più supremo ed assoluto del sogno. Il percorrere queste Piste dei Sogni o Vie dei Canti, questi primitivi cammini immaginari ed astratti, percepibili e riconoscibili esclusivamente dagli stessi aborigeni, porta alla consapevolezza, alla percezione ed alla comprensione degli eventi mitologici ed alla rivelazione dell’intima ed interiore armonia della creazione: tutto ciò si incontra viene elevato a simbolo sacro e solenne, caricato di un forte valore rappresentativo che racconta ed esprime l’ unione ed il legame con gli antichi Esseri Primordiali. Le Vie dei Canti, o Orme degli Antenati o Vie della Legge come gli Aborigeni le chiamano, equivalgono ad una dettagliata descrizione del territorio, vera e propria rappresentazione grafica dell’immenso deserto australiano, indispensabile per orientarsi nel suo interno: seguendo questi percorsi, gli Aborigeni, unici in grado di poterlo fare, si muovono dentro ad un ambiente apparentemente inospitale ed uniforme ad altri, guidati semplicemente da riferimenti quali alberi, rocce, asperità del suolo ma che per loro hanno un significato preciso ed inequivocabile.
In un passaggio del suo libro “Le vie dei canti” Bruce Chatwin scrive: “Gli Uomini del Tempo antico percorsero tutto il mondo cantando; cantarono i fiumi e le catene di montagne, le saline e le dune di sabbia. Andarono a caccia, mangiarono, fecero l’amore, danzarono, uccisero: in ogni punto delle loro piste lasciarono una scia di musica. Avvolsero il mondo intero in una rete di canto; e infine quando ebbero cantato la Terra, si sentirono stanchi.”

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Chatwin posiziona la nascita dell’uomo contemporaneo nella savana: una creatura nomade, che per vivere si sposta in continuazione alla ricerca di cibo. Da questo movimento, sempre secondo Chatwin, nasce il linguaggio. Le vie dei canti sono proprio questo: percorsi che attraversano l’Australia, e che gli aborigeni australiani hanno descritto tramite lunghissime poesie, da recitare in cammino come mappe stradali capaci di indicare la direzione da prendere (quando Chatwin ripercorre, in macchina, una di queste vie, il vecchio aborigeno che è con lui è costretto a cantare velocissimo per mantenere l’allineamento tra le parole e il panorama che scorre fuori dai finestrini).

In qualunque luogo essi si trovino, fondamentali sono le cerimonie tribali che celebrano, assistiti dagli spiriti arcaici, con danze tradizionali eseguite al suono del didgeridoo -strumento musicale sciamanico tipico delle regioni del nord- e delle pietre sacre tjurunga, percosse dalle donne, i corpi disegnati e decorati da miriadi di puntini colorati.

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Non esiste un linguaggio scritto, le loro comunicazioni si sono sempre basate sulla rappresentazione pittorica e l’arte aborigena è da considerarsi una delle più antiche rinvenute: le pitture e incisioni rupestri ritrovate sull’altopiano di Arnhem, nella zona settentrionale dell’Australia, risalgono a più di cinquantamila anni fa. Oltre a pitture murali, da ricordare quelle su corteccia, con raffigurazioni di animali mitologici e ancestrali stilizzati, realizzati con la tecnica del tratteggio, cross-hatching, eseguite con terre naturali. All’interno del territorio australiano, nella parte desertica del centro, si trova l’artigianato con lo stile più noto dell’arte locale: straordinarie variopinte pitture composte da miriadi di puntini dai vivaci colori, i quali, formando fitti reticoli di linee e cerchi, riproducono gli itinerari e le soste dei viaggi compiuti dagli Esseri Arcaici.
Tutta la popolazione aborigena, da migliaia di anni, si riconosce e determina in questi speciali segni di appartenenza, nelle musiche che rimandano a rotte che ininterrottamente affermano la loro discendenza, ad orme di antenati che tramandano tutto ciò sia stato acquisito alle generazioni future.

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L’epoca moderna però li pone nella condizione di perdere tali punti di riferimento, il rischio di scomparire, di vedere i propri sentieri attraversati da ferrovie, spazzati via per fare posto a fondamenta di palazzi: tale rovina annulla millenni di memoria e di racconto, rendendo questo popolo spaesato, confuso e smarrito, impaurito di fronte ad un male con il quale il destino li ha costretti a confrontarsi.

Nel corso dei secoli si è perpetrato quasi con metodo l’annullamento della cultura di questo popolo -non solo attraverso l’espropriazione delle terre ma addirittura eliminando ogni componente, ogni singola traccia delle loro tradizioni- così da creare un vuoto che gli aborigeni non hanno saputo riempire se non con alcol e droga. Come spesso accade la cosiddetta civiltà occidentale anche in questo caso ha sostituito memoria e folclore antichissimi con surrogati di democrazia e libertà. Oggi, piú della metà degli Aborigeni risiede nelle città, spesso in condizioni terribili e nelle periferie più degradate. Ancora oggi sono oggetto di razzismo e violenze e soffrono un tasso di suicidi e mortalità infantile molto superiori a quelli del resto della popolazione.

aborigeni di città aborigeni città 2 aborigeni città TO GO WITH AFP STORY "Australia-native-resources-Aborigines,FEATURE" by Madeleine Coorey Members of the Aboriginal community sit on a property at Roebourne in the north of Western Australia, just 30 kilometres from the booming mining town of Karratha on June 18, 2008. Indigenous leaders say the mining boom is bringing billions of dollars in revenue to Australians but indigenous people like those living in Roebourne are getting left behind and continue to live in sub-standard conditions. AFP PHOTO / Greg WOOD

Gli Aborigeni sono stati derubati delle loro terre sin dai primi anni della colonizzazione britannica. Il principio giuridico che regolava la questione indigena nella legislazione inglese e, pertanto, anche in quella australiana, era quello della “terra nullius”: un principio che definiva la terra australiana prima dell’arrivo dei Britannici come una terra vuota, una terra di nessuno che, pertanto, poteva essere legittimamente occupata dai coloni. Il principio è rimasto legalmente in vigore fino al 1992 e, oggi, gli Aborigeni stanno ancora aspettando la restituzione della maggior parte delle loro terre. Il furto e la distruzione dei territori ancestrali hanno avuto su di loro un impatto sociale e fisico devastante. Le prime invasioni portarono con sé epidemie che sterminarono migliaia di Aborigeni, mentre molti altri furono massacrati per mano dei coloni. Nell’arco di un solo secolo dall’arrivo dei colonizzatori, la popolazione aborigena si ridusse da un numero presunto di almeno un milione di persone a soli 60.000 individui. Nel corso del ventesimo secolo, allo sterminio diretto si è sostituita una politica brutale, volta a togliere i bambini aborigeni ai loro genitori, per affidarli alle famiglie dei bianchi o ai collegi dei missionari, con l’obiettivo di sradicare ogni traccia della loro cultura e della loro lingua.

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La “generazione rubata”, così come gli Aborigeni stessi la definiscono, rimane una ferita aperta nel cuore di tutto il popolo aborigeno.

A seguire una poesia di Oodgeroo Noonuccal poetessa aborigena australiana (1920-1993) che ha dato voce nei suoi versi ad una visione ancestrale della Grande Madre, radicandola, al di là della narrativa e del mito, in una forte passione politica, nella rivendicazione dei diritti per la sua gente : essere aborigeni con un «noi siamo» – i modi antichi, le antiche cerimonie, le leggi degli anziani, i racconti meravigliosi del Tempo del Sogno, la caccia, i campi, i fuochi nomadi, il lampo e la collina, i fantasmi degli antenati, noi siamo ciò che è andato, l’aquila, l’emù, il canguro, la natura, il passato, il bora e il corroboree, tutto è andato, e anche noi aborigeni stiamo andando.

Noi stiamo andando

arrivarono nella piccola cittadina
una banda seminuda domata e silente
tutto ciò che restava della loro tribù.
arrivarono qui, nell’antico luogo del loro bora* .
dove ora molti bianchi brulicano come formiche.
un cartello dell’agente immobiliare dice: «scarico rifiuti».
ora copre quasi le tracce del vecchio cerchio del bora.
ora siamo come stranieri qui, ma la tribù dei bianchi è straniera.
noi siamo di qui, noi siamo i modi antichi.
noi siamo il corroboree** e il luogo del bora.
noi siamo le antiche cerimonie, le leggi degli anziani.
noi siamo i racconti meravigliosi del tempo del sogno,
le leggende tribali raccontate.
noi siamo il passato, la caccia e i giochi allegri,
i campi e i fuochi nomadi.
noi siamo il lampo fulminante sopra Gaphembah Hill fulmineo e terribile,
e il tuono, dopo di lui, quel tipo rumoroso
noi siamo l’alba quieta che illumina la scura laguna
noi siamo le ombre-fantasmi che si insinuano furtivamente
quando il fuochi degli accampamenti ardono appena
noi siamo la natura e il passato, tutti i modi antichi andati ora e dispersi.
i cespugli sono andati, la caccia e le risate.
l’aquila è andata, l’emù e il canguro sono andati da questo luogo.
il cerchio del bora è andato.
il corroboree è andato
e noi stiamo andando.

* Bore-na, bohrre-na, borreh-ma, radice: -bore-; passato -na; anche bore-yh – bohrre-yh: sognare, essere un dreaming (sogno, animale totem che appare in sogno o in una visione o nella realtà, per portare un messaggio)
** Corroboree, si riferisce al luogo di cerimonie tradizionali ed anche alla cerimonia stessa.

  • per chi volesse approfondire l’argomento consiglio di leggere il libro “le vie dei canti” di Bruce Chatwin. Un diario di viaggio col e nel tempo dove i personaggi e i miti compongono un itinerario fantastico e di una bellezza ancestrale. Il libro racconta delle indagini svolte da Chatwin sulla tradizione aborigena dei canti rituali, tramandati di generazione in generazione come conoscenza iniziatica e segreta, sviluppando la tesi secondo cui i canti aborigeni sono contemporaneamente rappresentazione di miti della creazione e mappe del territorio. Il titolo si riferisce alle migliaia di linee immaginarie (appunto le “vie dei canti”) che, secondo le conclusioni di Chatwin, attraversano l’intero continente; ogni canto tradizionale sarebbe la rappresentazione musicale delle caratteristiche geografico-topografiche di un tratto di una di queste vie. A partire dall’analisi del concetto di “via dei canti” aborigena Chatwin arriva a trattare anche i temi ricorrenti della sua opera, in particolare la tesi del nomadismo come condizione originaria dell’umanità, ma anche teorie antropologiche sull’origine della società, delle armi e della violenza, citando studiosi, filosofi e antichi testi.
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