Dal punto di vista razziale gli Indios si ricollegano alla razza mongolide. L’ immigrazione è avvenuta dall’Asia di nord-est, attraverso le isole Aleutine e l’Alaska, a ondate diverse nel corso degli ultimi 10-15.000 anni.

Furono i colonizzatori spagnoli, convinti di essere approdati in India, a creare il termine indios per indicare tutti i nativi del Nuovo Mondo anche se appartenenti a gruppi ed etnie molto diversi.

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Nella foresta amazzonica, dalle zone più periferiche a quelle decisamente più remote vivono quasi 3 milioni di indigeni, suddivisi in circa 400 gruppi differenti: oltre 220 in Brasile, 59 in Perù, 33 in Bolivia, 10 in Ecuador ai quali si aggiungono quelli di Suriname, Guyana, Guyana francese, Colombia e Venezuela. Alcuni di questi gruppi indigeni non hanno ancora avuto contatti con il mondo “civilizzato”. Per la prima volta negli ultimi 5 secoli la popolazione indigena è in crescita del 3,5% all’anno, anche se alcune etnie come gli Yanomami sono seriamente minacciate da cercatori d’oro, trafficanti di animali e di droga e altri invasori. Nella sola Amazzonia brasiliana vivono 400 mila indigeni. Sono generalmente gruppi poco numerosi: la maggior parte è composto da un migliaio di individui e solo 3 popoli da più di 10 mila persone (i Guarajara nel Maranhao, i Mukuki nel Roraima e i Ticuna dell’Amazonas). Moltissime sono anche le lingue indigene parlate in Amazzonia: 180 in Brasile, 52 in Colombia, 33 in Bolivia e 17 in Venezuela. Attualmente i gruppi linguistici sono 41 riuniti in due ceppi (Tupi Guarani e il Macro-Je) ma si pensa che l’85% delle lingue indigene sia scomparso a partire dallo scontro con i portoghesi, quando erano 1.300 gli idiomi parlati.

In alcuni casi gli Indios hanno conservato le loro tradizionali strutture sociali, economiche e familiari. In Perù e in Bolivia, per esempio, continua a esistere l’ayllu, un’unità sociale costituita da un certo numero di famiglie abitanti in uno stesso territorio posseduto in comune. Soppressi nell’Ottocento, gli ayllu sono stati recentemente riorganizzati e riconosciuti legalmente come comunità indigene.

Nonostante i secoli di contatto con le società limitrofe in continua espansione, nella maggior parte dei casi questi popoli hanno mantenuto con fierezza la loro lingua e i loro costumi, a dispetto del furto e dell’occupazione massiccia delle loro terre.

La maggior parte delle tribù vive interamente delle foreste, delle savane, dei fiumi, e pratica un misto di caccia, raccolta e pesca. Gli Indiani coltivano piante per nutrirsi e curarsi, ma anche per costruire case e oggetti di uso quotidiano.

Per catturare le loro prede alcune tribù, come i Matis, usano lunghe cerbottane e frecce intrise di veleno. La maggior parte degli Indiani usa archi e frecce, ma alcuni utilizzano anche i fucili. Periodicamente vengono raccolte nocciole, bacche e frutti come l’açai e la pupunha, ed è particolarmente apprezzato il miele prodotto dalle api.

MATIS

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Il pesce è un alimento importante, soprattutto in Amazzonia. Per stordire e catturare i pesci, molti popoli indigeni usano un veleno chiamato timbó. Gli Enawene Nawe, che non mangiano carne rossa, sono famosi per le sofisticate dighe di tronchi chiamate “waitiwina” che ogni anno costruiscono lungo il corso di piccoli fiumi per intrappolare e affumicare grandi quantità di pesce. La cerimonia dello Yãkwa, collegata proprio a queste tecniche di pesca, è stata dichiarata patrimonio culturale nazionale del Brasile.

ENAWENE NAWE

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Ritual dos Enawenê Nawê, Terra Indígena Enawenê Nawê, Mato Grosso.

Alcuni popoli – tra cui gli Awá, i Maku nel nord-ovest e alcune tribù incontattate – sono cacciatori raccoglitori nomadi. Vivono in piccoli gruppi di famiglie allargate e possiedono pochi beni, in modo da potersi muovere rapidamente attraverso la foresta. In poche ore sono in grado di costruire un rifugio utilizzando rami di piccoli alberi e foglie di palma.

AWA’ e MAKU-NUKAK

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The Nukak Maku that have already suffered the devastation of their population by malaria and flu since their contact with outsiders in 1988, now coca growers, left-wing guerrillas, right wing paramilitaries and the Colombian army have occupied their lands driving them out of what used to be a 1 million hectare territory. The Nukak people live between the Guaviare and Inirida rivers, in the depths of the tropical humid forest, on the fringe of the amazon basin in the Guaviare department, Republic of Colombia. They are nomadic hunter gatherers. Nukak are expert monkey and bird hunters. The men hunt using blowguns, with darts coated with curare a poison made from different plants. Nukak do not hunt several animal species like the brocket deer and tapirs that they consider of the same group of origin as human beeings. A Nukak man. maku3

Come tutti i popoli indigeni, i cacciatori-raccoglitori nomadi hanno mappe mentali incredibilmente dettagliate del territorio e della sua topografia, della fauna e della flora, e dei luoghi migliori per la caccia. A volte gli Awá cacciano di notte utilizzando torce di resina dell’albero massaranduba.

“Se i miei bambini hanno fame mi basta andare nella foresta e procurargli del cibo.” Pecari Awá

I popoli indigeni hanno una conoscenza impareggiabile delle loro piante e animali, e rivestono un ruolo di vitale importanza nella conservazione della biodiversità.

“Voi avete scuole, noi no, ma sappiamo prenderci cura della foresta.”  Davi Kopenawa Yanomami

In alcuni stati, come il Maranhão (in Brasile), gli ultimi lembi di foresta rimasti si trovano solo nei territori indigeni (ad esempio nel territorio awá) ma sono sotto la forte pressione degli esterni.

Il ruolo dei popoli indigeni nella conservazione della biodiversità del cerrado (o savana) e della foresta amazzonica è fondamentale.

“Perché ci vuole così tanto per capire che se feriamo la natura, feriamo noi stessi? Non stiamo guardando il mondo dall’esterno. Non ne siamo separati.”
 Davi Kopenawa Yanomami

Gli Yanomami coltivano 500 varietà di piante diverse per nutrirsi, curarsi, costruire le proprie abitazioni e soddisfare altre necessità. Solamente per avvelenare e catturare i pesci utilizzano nove piante diverse. I Tukano, invece, conoscono 137 varietà di manioca.

YANOMAMI

Yanomami Members of a visiting Yanomami village at the edge of the forest clearing of another village arrive for a Rasha festival.

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I Satere Mawe conoscevano il guaraná, la bevanda frizzante onnipresente in Brasile, molto prima che venisse commercializzata. Ne tostavano i semi, li macinavano fino a ottenere una polvere da mescolare con l’acqua, e la bevevano prima di partire per la caccia. Il guaraná permetteva loro di non sentire la fame e garantirsi energia sufficiente per continuare a cacciare.

SATERE MAWE

Sateré-Mawé1 RITUAL DA TUCANDEIRA INDIOS SATERE MAWE AMAZONAS

Sateré-Mawé

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Molte tribù del Brasile – ad esempio quelle che vivono nel Parco dello Xingu, gli Yanomami e gli Enawene Nawe – vivono nelle maloca, grandi abitazioni comuni per famiglie allargate: appendono le loro amache alle travi del tetto e condividono il cibo intorno al focolare domestico.

Come i popoli indigeni di tutto il mondo, anche gli Indios mantengono una profonda comunione spirituale con la loro terra. Una relazione che si riflette nelle storie tramandate oralmente, nelle cosmogonie, nei miti e nei rituali.

Alcune tribù assumono droghe allucinogene per viaggiare verso altri mondi, per mettersi in contatto con gli spiriti e curare le malattie. Questo processo non è casuale nè ludico, ma richiede anni di addestramento e iniziazione.

Per invocare gli spiriti sciamanici, detti xapiri, gli sciamani yanomami inalano un tabacco allucinogeno chiamato yakoana o yopo. Gli xapiri hanno un ruolo cruciale nelle cerimonie di guarigione e durante il reahu, un rituale funebre durante il quale le comunità si riuniscono per mangiare le ceneri dei defunti.

“Sono uno sciamano della foresta e lavoro con le forze della natura, non con quelle del denaro o delle armi. Il ruolo degli sciamani è molto importante, curano i malati e studiano per conoscere il mondo.” Davi Kopenawa Yanomami

Durante le sessioni di guarigione, gli sciamani di tribù come i Kaxinawá e gli Ashaninka bevono la ayahuasca, una bevanda ricavata dalla vite caapi. Altri, come gli Arawete e gli Akuntsu, fumano o inalano tabacco.

KAXINAWA’

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Mito Pano Kaxinawà

Origine della pioggia

Anticamente sulla terra non cadeva mai pioggia, sicchè un giorno, nella laguna del cielo, un indio Kaxinawà gettò un pesce dorato in direzione dell’ uccello pescatore. Il volatile si lanciò sull’ inaspettata preda e, così facendo liberò il foro che con le zampe stava otturando. Sulla terra piovve per la prima volta. Ancor oggi, prima che la pioggia cada, il cielo è pervaso da bagliori: sono i pesci dorati lanciati dall’ indio. E la fine pioggerellina che a volte scende indica che, per la concitata attesa del volo, l’uccello pescatore si sta equilibrando su di una zampa sola.

ARAWETE

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Altri ancora, come gli Awá, non assumono droghe o sostanze stimolanti, ma entrano in uno stato di trance grazie al ritmo della danza e al battito delle mani. In questo modo raggiungono l’iwa, la dimora degli spiriti, dove incontrano le anime degli antenati e gli spiriti della foresta, i karawara.

http://www.survival.it/film/karawara-it

Spesso il passaggio dalla giovinezza all’età adulta è segnato da cerimonie e isolamento. Quando una ragazza Tikuna ha la sua prima mestruazione viene dipinta di nero con tintura di genipapo e adornata con piume di aquila. La ragazza canta, danza e salta sul fuoco per quattro giorni senza quasi dormire; trascorso questo tempo va in isolamento per diversi mesi, durante i quali impara la storia del suo popolo e viene istruita sulle sue future responsabilità.

TIKUNA

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Mito Tupi

Iapuna

Tra gli indios viveva una giovane di nome Iapuna il cui desiderio più grande era accarezzare la luna. Per questo chiese più volte agli spiriti che la tramutassero in astro, ma non fu mai esaudita.Piuttosto che rinunciare, Iapuna raggiunse con la canoa il punto dello stagno in cui la luna si rifletteva e distese il braccio per sfiorarla. L’ingenua fanciulla riuscì nell’intento, ma cadde in acqua affogando.Da là in alto la luna ne ebbe pena e la trasformò in un meraviglioso fiore che ancor oggi galleggia sulle tranquille acque degli stagni. Nella forma assomiglia ad una stella e le foglie, piatte ed ampie, accolgono per intero il riflesso lunare.Gli indios diedero al fiore il nome della ragazza, ma l’uomo bianco, che non conosce la storia, lo chiama ninfea.

TUPI-GUARANI

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I popoli dello Xingu sono famosi per le cerimonie funebri, durante le quali onorano i capi defunti, rappresentati da tronchi di legno decorati chiamati kwarup. Secondo la tradizione Kamaiurà lo spirito del defunto non si allontana mai dal villaggio ma dimora nei tronchi rinsecchiti degli alberi, chiamati appunto kwarup in lingua indio. Questa danza, Huca-huca nella loro lingua, è in realtà una specie di lotta assolutamente incruenta che si svolge al centro del villaggio ove il pajè – lo sciamano del villaggio – ha collocato dei tronchi di vecchi alberi rinsecchiti adornati con pitture a strisce bianche e con i doni dei parenti dei defunti. I Guerrieri indossano abiti di foglie e danzano e lottano tra di loro accompagnati dai canti di tutta la tribù. I due grandi pajé preparano le loro pozioni magiche e danno ordini precisi in modo che gli spiriti escano dai tronchi e si uniscano ai guerrieri nelle danze.

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Nelle credenze religiose hanno larga parte le anime dei morti (areo), e una particolare categoria di spiriti (maeréboe) che presiedono anche ai fenomeni celesti e naturali e vengono esorcizzati o invocati dallo stregone del villaggio. I miti sono numerosissimi, e riguardano il totem e l’origine dei diversi clan, o l’origine dei costumi e degli oggetti della tribù e dei maggiori fenomeni naturali. I riti funebri comprendono anche un seppellimento secondario nel quale le ossa principali del defunto (cranio, ossa lunghe) vengono decorate con penne e tenute per qualche tempo nella capanna.

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Presso alcune tribù per celebrare i morti si organizzano grandi feste (reaho) che durano giorni. In queste occasioni si riuniscono raggruppamenti che vivono anche molto lontani tra loro. I canti notturni sono canti corali responsoriali. Sono prima le donne a cantare, e poiché queste feste collettive si svolgono in genere nelle notti di plenilunio, esse cantano fin quando la luna ha percorso quasi metà del suo cammino. Dopo, fino alle prime luci dell’alba, continuano i canti degli uomini. L’ingestione delle ceneri dei defunti avverrà la mattina seguente da parte dei parenti e delle persone care, mentre gli altri assisteranno e parteciperanno al dolore. La cerimonia dell’endocannibalismo chiude la serie delle feste celebrative. È così che, ad esempio, solo gli uomini possono mangiare le ceneri di un uomo ucciso con una freccia dai nemici. Essi credono che, se le donne le mangiano, i guerrieri che andranno a vendicare il morto saranno visti da lontano dalle donne dei nemici, le quali li avviseranno e così essi non riusciranno a vendicarsi. Tutte le volte che decidono di far guerra ai nemici, per vendicare il morto, fanno feste e prendono un poco di quelle ceneri, per combattere meglio. Conservano però un po’ di ossa finché i figli saranno grandi e potranno venire anche loro a vendicare.

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L’America, fin dal tempo della conquista da parte dei bianchi, è stata teatro di innumerevoli fatti sanguinosi e disumani di cui la storia dell’umanità non ha raccontato che una piccola parte. Nel Sud-America lo sterminio degli Indios cominciò con gli archibugi dei primi conquistatori spagnoli e portoghesi e con le nuove malattie che portavano con sé. Le polemiche per decidere se gli Indios fossero uomini o no non furono placate né dalla bolla pontificia di Paolo III, che nel 1537 li dichiarava “veri uomini”, né da dichiarazioni di altri eminenti personaggi. Il vescovo Bartolomeo de Las Casas scrisse in quell’epoca La leggenda nera – Storia proibita degli Spagnoli nel Nuovo Mondo, che rimase all’indice fino al 1906: nel libro sono descritte le violenze alle quali furono sottoposte alcune nazioni indigene “miti, umili ed amanti della pace”. Si era solo all’inizio di un genocidio, carico a volte di sadismo, che in Brasile pare stia per giungere a termine ai giorni nostri. Gli europei che si unirono successivamente a spagnoli e a portoghesi non si dimostrarono migliori. Per ignoranza o nell’intento di tacitare la coscienza degli invasori, gli Indios furono sovente, e sono a volte tutt’oggi, descritti come incapaci, di indole falsa, indocile e cattiva. Per eliminare tali “pericolosi” abitanti del Sud-America si usarono, oltre alle armi, virus, batteri, veleni e perfino la sterilizzazione delle donne. L’elenco delle atrocità e degli abusi è lunghissimo. Molti superstiti di gloriose nazioni indigene, stremati dalla miseria, hanno perso la loro identità. Alcuni di essi, demoralizzati, scoraggiati ed emarginati, si sono abbrutiti dedicandosi all’ozio e all’alcolismo, avvolti sovente dall’anonimato nelle periferie delle città. Si dice che in America Latina siano stati sterminati in questi secoli 90 milioni di Indios. Si calcola che nel solo Brasile, nel 1500, vivessero 4-5 milioni di Indios. Oggi essi sono stimati in 220.000 in mezzo a una popolazione di 120 milioni di brasiliani; e l’odissea indigena continua.

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“Non sapevamo che i Bianchi si sarebbero presi la nostra terra. Non sapevamo nulla della deforestazione. Non conoscevamo le leggi dei Bianchi.”  Enawene Nawe
 “Un tempo eravamo liberi. Ora non lo siamo più. I nostri giovani pensano che non sia rimasto più nulla. Si siedono e pensano, si perdono, si lasciano vivere per un po’ e poi decidono di togliersi la vita.” Rosalino Ortiz, Guarani

In Amazzonia le strade stanno rompendo la selva equatoriale in tutte le direzioni. Come la strada Panamericana, fattore di integrazione nazionale e di collegamento internazionale con il Venezuela. In questi ultimi anni un’altra risorsa è stata resa possibile dalle strade, e specialmente dalla Manaus-Venezuela: il legname.

L’Amazzonia è la più grande foresta del mondo, quasi 5 milioni di chilometri quadrati, la tredicesima parte delle terre emerse del globo, sedici volte più vasta dell’Italia. In questo universo ci sono 70 miliardi di metri cubi di legname, e in mezzo alla foresta scorre il Rio delle Amazzoni, il più grande fiume della terra, un quinto delle acque fluviali del mondo; il sottosuolo nasconde riserve immense di materiali. C’è da meravigliarsi se ci si è gettati anima e corpo allo sfruttamento di quell’universo? La Transamazzonica, lunga quasi 7 mila chilometri, dalle sponde atlantiche ai confini con la Bolivia, si snoda in mezzo alle foreste vergini. Si costruiscono ferrovie. Gli indios attoniti assistono all’arrivo dei ciclopi. Talvolta si ribellano, uccidono. Gli Atroari fino a qualche anno fa non conoscevano il ferro che adesso arma la punta dei loro dardi.

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Le strade avanzano e gli indios fuggono, si nascondono nelle foreste. Nell’America latina da centinaia di anni è in corso uno spietato duello tra civiltà e natura. Gli indios, spinti verso le regioni più povere e meno accessibili, sono ormai rassegnati ad un’inesorabile fine. Il progresso vuole la terra degli indios per abbattere le foreste, costruire autostrade per vendere automobili, impiantare miniere e stabilimenti petroliferi.

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L’unica soluzione individuata dai politici per gli indios dell’Amazzonia, superstiti di un eccidio che dura da quattro secoli è quella delle riserve. Una volta riuniti e dotati di mezzi necessari, gli indios vi potranno sviluppare un’economia più redditizia, conservando almeno in parte i propri caratteri culturali. Molte tribù sono già state assorbite ed integrate. Ogni tanto, i bulldozer aprono strade anche nelle riserve, dove ci sono indios che coltivano la nostalgia.

Il brusco contatto con i bianchi che parlano il linguaggio degli affari, delle leggi scritte e dei motori ha causato la crisi tremenda degli aborigeni dell’America latina. Gli indios sono un popolo equilibrato ed ingenuo. Hanno gli occhi a mandorla. Rifiutano sistematicamente qualsiasi dialogo con la civiltà. Vivono nascosti nelle foreste dell’Amazzonia, il più grande bacino fluviale del mondo, che appartiene per due terzi al Brasile e per il resto è suddiviso tra Perù, Ecuador, Colombia e Venezuela. Come i primitivi dell’Africa e dell’Australia, non conoscono la scrittura, né la ruota né gli attrezzi per coltivare la terra. Hanno lance e frecce e la loro economia è basata unicamente su quello che la natura offre spontaneamente.

Le tribù estinte sono negli ultimi 80 anni sono circa cento. Esemplare è la vicenda della tribù dei cintas largas, che viveva in completo isolamento presso le sorgenti del fiume Aripuana, fu annientata nel 1963. Un aereo lanciò candelotti di dinamite sul villaggio. Gli scampati, rifugiatisi sulle montagne, furono falciati dalle mitragliatrici.

Lo slogan del nuovo millennio risuona al grido di “capitalismo o morte”, ripresentando il tema dell’esclusione come tratto distintivo della modernità. Chi non vuole consumare e fare profitti non può semplicemente rifiutare, deve trovare il modo di farsi da parte, spesso definitivamente.


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