Dai racconti dei miei nonni ho appreso tanto, qualcosa che mi porto ancora addosso, io così piccolo e loro così imponenti. Di nonno Rosario, il padre di mia madre, ho amato la passione, la gioia, il modo umile di vivere, ma anche e forse soprattutto i suoi silenzi, le lunghe passeggiate col vestito impeccabile -come se il mondo avesse bisogno di quella sua eleganza-, il saluto che tutte le sere lasciava a casa mia : ogni giorno, fosse estate oppure inverno, e più o meno alla stessa ora, passava da noi per scambiare due chiacchiere, anche solo una carezza. Era il suo modo di ringraziare Dio o la fortuna per quella possibilità che avrebbe potuto non essere tale.
Mi riferisco alla tragedia della seconda guerra mondiale che lui visse e che probabilmente ancora viveva.
Non era solito parlarne anche se ogni tanto si lasciava andare. Ma ogni volta sembrava morire insieme alle parole. Aveva visto e sopportato gli orrori della guerra, le interminabili marce, le angosce di fronte ad un nemico che aveva le sue stesse sembianze e probabilmente le medesime sofferenze.
Nella sua voce i giorni trascorsi tra montagne e silenzio -uniche anse dove rifugiarsi, dopo quell’atto di vigliaccheria avvenuto l’8 settembre 1943- e il terrore della cattura e il successivo invio in un campo di concentramento tedesco, solo per aver voluto a tutti i costi salvaguardare il suo onore di italiano, risultavano ancora troppo vividi.
Ogni attimo vissuto con l’inquietudine di essere l’ultimo, con la mente rivolta a sua moglie, a forma di foto nascosta nel bavero della giacca , lontanissima ma sempre vicina al cuore.
Un uomo esile ma dotato di una tempra fortissima, un piccolo uomo che seppe affrontare i nemici, non solo quelli con un fucile a tracolla, ma forse quelli ancora più subdoli e terrificanti : la paura di non riuscire a ritrovare la strada di casa, la disperazione di esserne cosciente, l’angoscia dell’impotenza di fronte a quella tragedia, la solitudine di un albero o di una buca nel terreno.
Con la morte nel cuore e quella più fisica di una pallottola, contò le ore tra grida e ordini, urlati in un idioma incomprensibile; ma la voglia di vivere era più forte di qualunque sofferenza : la felicità propria di un bambino l’aiutò a sconfiggere quei giorni.
Caparbio, trovò sempre il modo di “arrangiarsi”, adoperandosi nelle maniere più insolite affinché quei terribili momenti si dimostrassero solo un pegno da pagare a chissà quale esattore, sicuro che una volta estinto il debito tutto sarebbe magicamente tornato come prima. Visse quella tremenda prova nella fede e nella più totale fiducia nella patria, considerata a tutti gli effetti una madre a cui fare ritorno. Non importava in che modo e a quale prezzo, sentiva fortemente quel simbolo a tre colori e cercò sempre di onorarlo col fuoco tipico della gioventù.
Le ferite dell’anima gli ricordarono sempre, come un marchio, quell’esperienza, la sua pelle si portò addosso le privazioni d’ogni tipo, tutti i maltrattamenti non solo fisici, ma quelli più dolorosi della psiche, anche se non ne fece mai un dramma, almeno con noi famigliari, perché era bravo a nascondere, ma ogni tanto gli occhi diventavano un libro in cui leggere tutto quel dolore .
Finalmente giunse un’alba diversa, quella di un giovane mattino in cui la luce poté riemergere dal buio, risvegliando quel lungo torpore adagiato nel sangue e annunciò la sua liberazione : il campo sembrava abbandonato e dei carcerieri nessun segno. Approfittò di quella situazione e fuggì. Così si consegnò a quei poveri resti d’aria e fu libertà.
Seppe poi che il campo era stato abbandonato in fretta e furia per l’avanzata degli alleati.
Pur in condizioni disperate, debilitato e senza meta, capì che non c’era tempo da perdere e col cuore in spalla e una sacca di sole s’avviò incontro alla sua terra, alla sua donna.
Un viaggio non facile, senza un soldo e nulla da mangiare, attraverso luoghi e persone sconosciute disperato come un cucciolo abbandonato dal branco, arrivò quasi esanime in un piccolo paese del Trentino. Una famiglia del posto ebbe pietà di quello “straniero”, offrendogli vitto e alloggio per qualche giorno, lui cercò di sdebitarsi con lavoretti manuali, era un calzolaio esperto con una particolare bravura nel lavoro del cuoio : avrebbe potuto realizzare di tutto con un po’ di cuoio, un ago e un martello.
Trascorse giorni e giorni su quelle montagne, talmente tanti che imparò ad apprezzare e amare anche la neve, col tempo tornarono anche le forze e il fisico cominciò a riacquistare energie, ma ricomparve anche la consapevolezza che i giorni si erano trasformati in mesi, anni.
Le notizie del paese distrutto dalla guerra e dalla fame arrivavano a singhiozzi su quelle lande sperdute, ma arrivavano, benché fossero notizie di desolazione e disperazione, nessuna informazione, invece, della sua famiglia da tanto, troppo tempo. Estate e inverno si erano avvicendati troppo velocemente, avevano eretto un confine che sembrava invalicabile, separavano una vita lasciata in custodia da un futuro strappato a morsi.
Ma decise che l’inverno, ormai alle porte, non lo avrebbe incrociato su quelle montagne, non aspettò la neve cadere, avrebbe festeggiato il Natale a casa sua, era ormai giunto il tempo di riappropriarsi di quella vita che altri avevano deciso di non fargli vivere.
Con un piccolo prestito intraprese quel lungo viaggio, era determinato, convinto a risentire il profumo dell’ulivo sotto casa e finalmente bagnare quel corpo sofferente, piegato dalla guerra, nel suo adorato mare.
Dopo alcuni anni, trascorsi come secoli, giunse finalmente al suo paese, riabbracciando l’unica donna della sua vita e le due figliolette. Il sorriso sembrò rioccupare quel territorio che pareva perduto e la vita cominciò a ritrovare la strada del corpo.
Ma una nuova guerra stava vestendo i giorni, si ritrovò a lottare con l’incertezza del futuro, con la povertà di un sud abbandonato a se stesso.
Aveva promesso di ritornare per restituire quel prestito, l’avrebbe fatto, fosse anche l’ultima cosa : quello era il momento che imponeva di tornare anche per trovare la dignità nel lavoro, il desiderio di regalare una famiglia ai suoi cari nel modo che aveva sempre sognato, con amore e nella certezza di un focolare a cui attingere sempre.
Ancora una volta qualcosa o qualcuno aveva deciso della sua vita, tempo addietro l’uniforme questa volta un altro tipo di abbigliamento : la miseria!
Partì portandosi con sé un pezzo di famiglia, mia madre.
Una bambina di dieci anni che avrebbe accudito quell’uomo come una piccola donna, lavato e stirato quegli umili stracci chiamati vestiti, apparecchiato la tavola con un pezzo di pane e una minestra riscaldata dall’amore : l’unica cosa che non sarebbe mai mancata nella mia famiglia.
Estinse il suo debito trascorrendo cinque anni ancora una volta lontano dalla sua terra, ma ancora una volta tornò… e finalmente sarebbe stato per sempre.
La vita è strana e a volte ha in serbo delle sorprese, rinnovandosi o ripetendosi nei modi più impensabili, trentasei anni dopo quegli avvenimenti, il mio lavoro mi riportò in quegli stessi luoghi in cui probabilmente era rimasta ancora una rata da saldare.
Sono andato a visitare quel paese, a rivedere la casa in cui, oltre a mio nonno, mia madre aveva trascorso per qualche anno la sua giovinezza e ho respirato quell’aria percependo odori che mi riportavano a casa, odori che sentivo familiari, quelli di un passato che sarebbe stato il mio presente.
*questo brano era uno dei suoi preferiti, forse perchè quella “notte” era stata troppo lunga, troppo buia
Un commosso ricordo di tuo nonno, che ha dimostrando animo nobile e forte, ancora più forte di privazioni e dolori.
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si è così, un animo nobile e forte! Grazie
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Grazie a te per averlo ricordato
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commovente come tante storie di guerra
vissute da uomini che hanno avuto coraggio e forza
grazie rosario che bello questo tuo nonno
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grazie Cristina.
Ti racconto un piccolo aneddoto per farti capire la tempra di questo piccolo grande uomo.
Nel 1997 subì almeno tre ictus e fu oggetto di una grave infezione polmonare ma quando mi rivolgevo a lui, fermo in un letto di dolore, per chiedergli come stava, la sua risposta era sempre la stessa : benissimo!
Ecco questo è solo un piccolo esempio per descrivere quel suo essere sempre positivo, grato di quella vita, sebbene travagliata e precaria. Perfino nei suoi ultimi giorni e ridotto ormai ad uno scheletro non perse mai quello spirito!
Ciao
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ti ringrazio per questo tuo bellissimo racconto, così denso di vita vera e anche di quella poesia intensa che nasce dalla sincerità; questo tipo di narrazione nello stesso tempo presenta a chi legge squarci di realtà, informazione emozionale e vissuta, sguardi sulle grandi tragedie della storia, ma anche consolazione, perchè il protagonista, un uomo fra tanti e un emblema di vita, è umile ma fortissimo, lascia al mondo (anche attraverso la tua narrazione) una memoria e una lezione di vita –
e tu sai trovare le parole per dirlo
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ho avuto in loro ( i nonni) dei validi maestri ai quali sarò per sempre grato per avermi insegnato, anche attraverso i racconti , il rispetto per la vita e l’amore come unica strada da percorrere. Quegli insegnamenti mi hanno reso uomo! Senza oggi sarei un po’ meno “vero”.
Grazie
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Bravo Rosario, molto bello e commovente il tuo articolo: adesso ci ricordiamo anche noi di tuo nonno, della sua odissea e della sua dignità nell’affrontare anni di lontananza dalla famiglia, e i ricordi poi, così difficili da trasmettere a chi non sa nulla della guerra senza creargli paure o traumi, ma nella consapevolezza che il dolore deve essere condiviso. Per mio padre è stato molto difficile, si sa che con i figli i rapporti sono più tesi che con i nipoti, era poi passato poco tempo da allora, se pensi che io sono nata nel 49; poi lui era anche profugo da Fiume e aveva vissuto un doppio calvario e un doppio assordante silenzio. Nel Paese che continuava a insistere sul dovere della memoria.
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per motivi di lavoro vivo a Trieste e so bene cosa voglia dire per questa città essere profugo! Ancora adesso e vivissima la percezione di quei giorni di fuga e terrore.
Riguardo ai nostri genitori o nonni penso che loro abbiano visto e provato privazioni e violenze di ogni genere che rapportati alle nostre “comode” vite di oggi dovrebbero farci vergognare per quanto poco rispetto dedichiamo alla loro storia. Io ho avuto la fortuna di conoscere i miei nonni e le loro storie e di tutti e quattro mi porto ancora dentro la grande passione per la vita, il senso alto dell’onore e del rispetto. Loro così minuscoli in confronto alle tragedie del loro tempo hanno in qualche modo saputo lottare e un po’ vincere : gli uomini in trincea e le donne con i figli e la miseria. Anche il nonno paterno, più grande di quello materno, ha vissuto l’orrore della guerra anzi delle guerre -la prima guerra mondiale e “la costruzione dell’impero” fascista in Africa-. Anche su di lui ho scritto qualcosa che certamente pubblicherò! Ciao
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Grazie per il bel commento… al commento. Quello che dici vale anche per i miei genitori che hanno vissuto vite difficili e hanno visto scomparire traumaticamente i mondi nei quali erano nati e vissuti per anni: non erano certo ottimisti dopo quello che avevano passato, ma ci hanno insegnato proprio per questo ad apprezzare tutto quello che c’è di bello nella vita, con tutta la sua precarietà.
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sempre di toccante verità le tue narrazioni, ci fanno riflettere ogni volta.
Buona giornata.
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grazie Max, come sempre presente e coinvolto. Ciao
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Che storia intensa e meravigliosa. A volte ci dimentichiamo che i nostri nonni hanno passato l’inferno, eppure lo hanno affrontato con tanta forza e tanta dignità… veramente dovremmo ridimensionare tutta la nostra visione del mondo (e di noi stessi)
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come darti torto in termini di ridimensionamento del nostro spropositato ego!
Credo dovremmo apprendere dalla storia dei nostri avi e non appendere quei ricordi in qualche parte della nostra mente e poi lasciarli appassire.
Grazie
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Pensavo leggendo il post sulla tradizione orale ai nostri vecchi che, almeno nella nostra parte di mondo, sono stati gli ultimi a avere gesta da “cantare”. Mi hai ricordato il mio che non era di qua e ha sognato per tutta la vita di tornare alla sua terra.
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proprio qualche giorno fa ho scritto sulla tradizione orale https://rosariobocchino.wordpress.com/2016/01/23/la-tradizione-orale/
Il ritorno è un altro dei soggetti a cui siamo molto legati, proviamo sempre a ritornare che sia un amore, un luogo della mente, un angolo fisico della nostra infanzia. Oltre ad essere “viaggiatori” siamo anche legati a qualcosa che a volte pare indefinita altre invece è tangibile e struggente, come la terra di tuo nonno.
Grazie della visita, ciao 🙂
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Sì, mi riferivo al tuo post.
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🙂
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Piccole grandi storie tasselli indispensabili alla Storia.
Sheraconunabbraccio
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grazie Shera, tasselli di storia che andranno a comporre il mosaico del nostro futuro!
Ciao
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