Il ricordo vive di nuova vita quando ad esso sono legati odori, gesti, abitudini. Dimensioni che non hanno luogo né tempo. In questo caso, i ricordi, sono le mani sottili dei bambini, tese verso quel magnifico volo chiamato amore. Un amore filiale che si riverbera da ogni foto, da ogni parola sussurrata. Sono le braccia del cielo che tocchiamo ad ogni lacrima. Sono come l’universo e il suo suono originario, radice e terra, come fosse ancora quel giorno lontano quando il miele venne meno alle sue promesse. Promesse che ci hanno resi uomini e donne, padri e madri, dentro una vibrazione che ciclica si ripete. Ma noi “assaggeremo” ancora quel miele e sarà come ritornare api, in una lenta ma inesorabile chiamata verso casa.

Questo è un commento che ho lasciato come segno al bellissimo post dell’amica Giusy Lorenzini sulla festa del papà. Ho deciso di farne un articolo come ricordo del mio papà. Nessuna poesia ma un pensiero scaturito di getto.

Un ritornare negli anni a cercare la luce, uno spiraglio di tempo tra le stelle che mi potesse dare voce e calore per “sentire” quell’abbraccio che tanto mi manca. E’ stato un calarsi dentro, stringere quelle foto che mi parlano, che ancora mi guardano. Come allora mi guardavano i suoi occhi.

E ora che il tempo è un grigio signore mi avvicino ai suoi anni con la lenta immagine del suo sguardo, di quel dolce cammino che mi porge la stessa strada, come impronta e testimonianza. Come sussulto e sorriso.

Ti voglio bene papà!