«Ligabue è un randagio della cultura, un artista libero dentro che, alla vulnerabilità emotiva congenita, ha unito grandi tragedie personali vissute nell’infanzia e nell’adolescenza; la sua cosciente follia, la sua istintività primitiva, il suo lasciarsi trasportare da eccessi emotivi lo hanno reso unico nel panorama delle arti visive del secolo scorso». Maurizio Vanni critico d’arte

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Antonio Ligabue, nato Antonio Laccabue (Zurigo, 12 dicembre 1899 – Gualtieri, 27 maggio 1965), è stato un pittore italiano la cui arte è generalmente classificata come naïf.

L’introduzione del catalogo di una mostra dedicata a “ul matt” afferma: “L’eccezionalità di Ligabue nel panorama figurativo italiano, la capacità visionaria e la sapienza cromatica sono la prova di un enorme talento da non ricercare nella sua eccentricità ma piuttosto – malgrado le difficoltà psicologiche emarginanti – nel riuscire ad esprimersi con la sua caratteristica intensità; un individuo che è riuscito a liberarsi delle sue angosce proprio grazie a scultura e pittura”.

ligabue 3

Nato a Zurigo e registrato come Laccabue all’anagrafe per problemi di un affido non legittimato, il ragazzo di lingua tedesca e già con problemi psicologici, verrà internato in un istituto per handicappati. Riuscirà a superare solamente la terza elementare e pur risaltando per l’irrequietezza e la cattiva condotta esprime abilità nel disegno che lo porterà da adulto – quando assumerà il cognome di Ligabue – a diventare l’artista conosciuto in tutto il mondo. Espulso dalla Svizzera per colpa della madre adottiva, viene condotto dai carabinieri prima a Como e successivamente a Gualtieri, comune della Bassa reggiana, originario del presunto padre. Sempre inquieto, fugge per ritornare nel nebuloso ricordo che ha della vita elvetica ma viene riportato sotto la tutela del comune italiano che, però, non riesce a dargli la necessaria assistenza. Sopravvive come Robinson Crosuè nei boschi e lungo le rive del Po.

"Leone e leonessa"

Lo sorreggeva l’ansia di esprimersi e quindi inizia a disegnare, scolpire e pitturare con più frequenza malgrado le pressanti difficoltà della vita randagia. In quel periodo incontrò lo scultore Marino Renato Mazzacurati (1908/1969), autore tra l’altro dei monumenti al partigiano a Parma e allo scugnizzo delle quattro giornate di Napoli; incoraggiò l’attitudine di Antonio insegnandogli i rudimenti dell’arte. Dal primitivismo incerto all’esplosione espressionistica dal colore violento e dalla pennellata convulsa; disse dell’amico: “Quando dipingeva animali feroci, ne assumeva gli atteggiamenti si identificava in loro, ruggiva come il leone, la tigre e il leopardo quando azzannano la preda imitandoli con una stupefacente conoscenza della loro anatomia, della forza, degli istinti”.

"Leone e zebra in lotta"

Nel 1937 Ligabue incomincia la via crucis nei manicomi per ‘psicosi maniaco-depressiva’; durante uno di questi ricoveri, pur facendo da interprete alle truppe tedesche, rischia severe punizioni per avere colpito un militare con una bottiglia. Dopo la guerra, mendico, si diffonde la fama di questo strano personaggio e su di lui e per lui vengono organizzate mostre e realizzati film; il guadagno conseguente e l’autostima non diminuiscono la psicosi naturale tanto da pretendere un autista che si tolga il cappello quando sale nell’autovettura privata. Nel 1962 sarà colpito da una paresi e in questa circostanza chiede di essere battezzato e cresimato.

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È la sintesi di una tragedia individuale, da una parte il limite della pazzia dall’altra lo stimolo di una mente geniale: la simbiosi ha creato quadri di un autodidatta che identifica se stesso e le proprie manie in quadri raffiguranti animali feroci ed esotici (“Io so come sono fatti anche dentro”) ambientati in paesaggi familiari con una violenza cromatica vicina a quella di Van Gogh; è la spinta interiore di esprimere la sofferenza durata l’intera esistenza di un uomo incapace di inserirsi nella società e quindi costretto dalla patologia mentale a rinchiudersi in se stesso.

antonio ligabue

Sporco, selvatico, brutto, il corpo consunto e deforme per l’infanzia stentata, il gozzo ed il naso camuso che tentava di raddrizzare colpendosi con poderosi colpi di pietra, metodo che preludeva alla moderna chirurgia estetica. L’arte di Antonio nasce sulle sponde sabbiose del Po perché qualcosa dentro di lui lo pressava a modellare animali con l’argilla che barattava con il cibo dei contadini.

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Il grande fiume lo avvolge con atmosfere primordiali in sintonia con le passionalità del subconscio. La genialità della sua pittura è l’altra faccia di un Giano bifronte che lo salva dalla disperazione totale (Toulouse-Lautrec crea i manifesti del cancan, Ligabue produce cartelloni per circhi e fiere, un altro modo per distrarsi dagli incubi che lo attanagliavano). La violenza simbolica e la profonda passionalità che identifica il suo lavoro è l’estrinsecazione delle violenze interiori. Amava la solitudine del bosco alle baldorie d’osteria, scorrazzava con la Moto Guzzi Rossa sui viottoli di campagna, ulteriori conferme di un uomo diverso che resterà uno dei grandi enigmi del nostro tempo.

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Dai cavalli e umili buoi al lavoro o lotte da pollaio fra galli spumeggianti, immersi in paesaggi padani, ma punteggiati da casette e campanili tutti svizzeri del primo periodo, alle tigri dalle fauci spalancate, i leoni mostruosi, i serpenti e le aquile che ghermiscono la preda o lottano per la sopravvivenza, una giungla che l’artista immagina con allucinata fantasia fra i boschi del Po.

"Leopardo assalito da un serpente"

Dal primitivismo ingenuo con tonalità grigiastre all’esplosione del colore violento che esprime il dramma di una esistenza concomitante alla naturale veemenza animalesca. Il buon selvaggio, malgrado tutto, riuscì a traslare le proprie inquietudini nell’innato dono di una originalità artistica che lo poneva al riparo di ulteriori eccessi che avrebbero totalmente distrutto la precarietà di una psicologia tarata.

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La critica comincia ad interessarsi del poeta-contadino come incarnazione dell’artista popolare, autodidatta e istintivo. La fama di pittore naïf gli procura i primi guadagni e qualche mostra con gli oli, disegni, incisioni ed i bronzi delle sculture: una personale nel 1961 a Roma, nel 1962 a Guastalla, nel 1965 a Reggio Emilia pochi giorni prima della morte. Ligabue è un fenomeno unico nella storia dell’arte italiana, un malato, un infelice che conferma la tesi sostenuta da Jean-Jacques Rousseau nel “Discorso sull’origine dell’ineguaglianza tra gli uomini”. In uno degli scritti pubblicati postumi (‘Le fantasticherie del passeggiatore solitario’) affiorano affinità con il vagabondaggio nei boschi dello scorbutico Antonio e quindi con l’incondizionata libertà di pensiero fantastico.

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Ecco il mondo atemporale di Ligabue dal quale ricava tele gonfie di colore, violenza ed angoscia, isolato eppure partecipe : luce d’incanto in vortice di pensieri, luce d’ambra che attira falene bianche. Silente attesa nel mondo degli gnomi nascosti, brividi lievi del vento di marzo che accarezza cose riposte. Il sottobosco bruno, fitto di creature aduse al brusio muto, osserva il germoglio delle gemme ed il rigoglio verde. Bianco, danzante Pan caprino, lieve e silente dio dei boschi, svegliati al suono della natura e offri fior di loto.

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Nel 2013 Marco Perrotta porta in teatro l’opera “un bes-Antonio Ligabue“, e in un fotogramma molto significativo racchiude tutta la storia raccontata a teatro sulla vita tormentata di un pittore che fece della sua vita un percorso artistico tormentato fino alla sua morte. La scena di un sofferto bacio tra Antonio Ligabue e una donna dove la voce dell’uomo esclama : “Un bès… Dam un bès, uno solo! Che un giorno diventerà tutto splendido. Per me e per voi”. Si tratta di un frammento tratto dal documentario diretto da Raffaele Andreassi che nel 1962 realizzò: “Antonio Ligabue pittore”, spesso paragonato a Van Gogh, in cui il regista colse tutta la tenerezza e la drammaticità che lo accompagnò durante tutta la sua vita. L’attore e autore dello spettacolo ha scelto di chiudere il suo Ligabue con un’ immagine cinematografica in bianco e nero. Come i suoi disegni a carboncino che realizza dal vivo sulla scena per descrivere per immagini disegnate il tormento, il furore, i luoghi dove Ligabue esprimeva attraverso la pittura, quella sofferenza interiore che lo perseguitava.

Un’immersione che si arricchisce parola dopo parola, composta di citazioni, impressioni, emozioni, studi approfonditi sulla vita e l’arte del pittore. «Lo diceva lo stesso Ligabue che un giorno i suoi quadri sarebbero diventati famosi anche se durante la sua vita i contadini di Gualtieri, dove era stato mandato a vivere dopo i primi diciott’anni trascorsi in Svizzera, svendevano le sue opere e i suoi dipinti finivano per diventare sgabelli per mungere le mucche o tappare le finestre. Triste destino di capolavori rivalutati post mortem, così come fece Cesare Zavattini che riconobbe solo dopo la scomparsa di Ligabue di essere stato ingiusto nei suoi confronti».


Film

Ligabue del 1977 di S. Nocita con Flavio Bucci. Mezzo secolo nella vita di Toni Ligabue soprannominato “ul matt” o “ul tedesch”, padano di nascita nordica che portò un soffio d’arte europea nel manierismo della pittura italiana. Riduzione di una biografia televisiva in tre puntate sul pittore emiliano. Perfetta l’immedesimazione del personaggio interpretato da Bucci.

I lupi dentro del 2001 di R. Andreassi. Il sottotitolo di questo lungo documentario è “Il mondo incantato di Antonio Ligabue pittore”. Su Laccabue, in arte Ligabue, solitamente definito di stile naïf, il maggiore in Italia, l’abruzzese Andreassi aveva ripreso nel 1965 con pellicola 16 mm. molti ambienti del Po e della sua gente: contadini, pescatori, navigatori fluviali e artisti tentando di restituirne la cultura arcaica che stava per essere sopraffatta dalla civiltà industriale.


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Le notizie che formano il presente articolo sono state tratte da www.wikipedia.it e da un bellissimo articolo di Giuliano Confalonieri su  www.artericerca.com

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