Treno di notte per Lisbona regia di Bille August (2013). La vita di Raimund Gregorius è ben organizzata, ma monotona e prevedibile. Il 57enne professore di latino vive in un piccolo appartamento a Berna, ogni giorno si reca a scuola dove insegna una materia che suscita poco interesse negli studenti, la sera, non potendo dormire, gioca da solo a scacchi. Il giorno che cambierà per sempre la sua vita inizia come qualsiasi altro… Mentre Raimund attraversa il ponte che lo conduce a scuola vede una giovane donna con un cappotto di pelle rossa che si sta per gettare nel fiume. Le salva la vita, ed inconsapevolmente, lei salva la sua. Lei lo accompagna a scuola. Lungo la strada lui le chiede se avesse realizzato che avrebbe potuto cambiare la sua vita in un solo istante. Quando l’enigmatica giovane donna dimentica il soprabito in classe, Raimund, sotto l’occhio stupito dei suoi alunni, l’afferra e le corre dietro. Non riesce a trovarla, ma nella tasca trova un libro e un biglietto del treno per Lisbona. Arriva alla stazione appena prima che il treno parta. La donna è introvabile e, inspiegabilmente, all’ultimo momento, Raimund sale sul treno. Nel viaggio inizia a leggere il libro appena trovato, un profondo lavoro di Amadeu Prado, un dottore portoghese, rivoluzionario e filosofo. “Se così fosse, che viviamo solo una piccola parte della nostra vita, cosa succede al resto?” Arrivato a Lisbona Raiumund è impaziente di conoscere l’uomo le cui parole lo hanno toccato cosí profondamente.
La parte degli angeli regia di Ken Loach (2012). Robbie è un giovane sbandato di Glasgow che viene condannato per un barbaro pestaggio. Stavolta, però, nonostante la lunga fedina e la brutalità dell’atto, la condanna a 300 ore di servizi sociali è relativamente clemente per via del fatto che gli viene riconosciuto un generale sforzo nel cambiare la propria condotta, unito alla circostanza che a giorni diventerà padre. Già dopo le prime ore di lavori sociali, Robbie instaura un buon rapporto con Harry, il responsabile degli stessi. Harry ha creato un bel gruppo e, al di fuori dell’orario di servizio, organizza una gita istruttiva in una distilleria che risulterà decisiva per le sorti di Robbie e di altri tre ragazzi costretti ai servizi sociali. In un viaggio con Harry ad Edimburgo si evidenzia il talento di assaggiatore di Robbie, il quale però, oltre alle degustazioni, ha fatto attenzione soprattutto alla notizia che presto verrà messa all’asta una botte di whisky di ingentissimo valore. Studiato un piano criminoso, Robbie si attiva con tre amici del suo gruppo per sottrarre parte del preziosissimo liquido. Dopo una serie di peripezie, con grande arguzia Robbie riesce a sottrarre due bottiglie di introvabile whisky ricavando da una sola di queste la considerevole cifra di 100.000 sterline che divide con i suoi compagni. Nella stessa operazione si è fatto abilmente assumere da una distilleria e così parte con Leonie e il figlio nato da poco per rifarsi una vita lontano dalle beghe di Glasgow, non prima di aver omaggiato Harry dell’altra bottiglia di sublime whisky sottratto nell’asta milionaria.
Midnight in Paris regia di Woody Allen (2011). Gil e la sua fidanzata Inez sono in vacanza a Parigi con la famiglia e con due amici in cui si sono casualmente imbattuti. Gil è uno sceneggiatore di successo che, stanco della vita e del mondo di Hollywood, si prende una vacanza per trovare l’ispirazione necessaria a completare il suo primo romanzo. Rimasto a passeggiare in solitudine nella notte parigina, Gil accetta un passaggio su di una bella vettura d’epoca. Per incanto, l’aspirante scrittore statunitense si ritrova trasportato di novant’anni indietro nel tempo, nella mitica Parigi degli anni venti e della “Generazione perduta”, su cui ha sempre fantasticato. Qui, per una notte, incontra gli scrittori e gli artisti che a quell’epoca soggiornavano a Parigi: lo scrittore Francis Scott Fitzgerald con la moglie Zelda, Cole Porter, Ernest Hemingway che gli offre lezioni di scrittura e di vita; e poi Salvador Dalí, Luis Buñuel, Pablo Picasso, Man Ray e molti altri. Quando la notte giunge al termine e si ritrova nel XXI secolo, Gil vuole a tutti costi tornare indietro, e ogni notte – a mezzanotte – accetta un passaggio da quell’auto. Mentre vive in quella che considera l’età dell’oro, si innamora di Adriana, già compagna di Picasso e Amedeo Modigliani: i due subiscono lo stesso incanto e si ritrovano proiettati nel Maxim’s della Belle Époque, l’epoca vagheggiata da Adriana come la vera età dell’oro: incontrano così Henri de Toulouse-Lautrec, Paul Gauguin, Edgar Degas e Gil scopre che il vagheggiamento di un “glorioso passato ormai perduto” è un’aspirazione ricorrente nell’animo umano.
The Tree of Life regia di Terrence Malick (2011). Il film narra l’evoluzione di Jack O’Brien, un ragazzo del Texas, e dei suoi fratelli. Gli O’Brien sono una famiglia texana di ceto medio e rigorosamente cristiana degli anni cinquanta. Il padre dà ai figli un’educazione severa per insegnare loro ad avere successo nella vita, pretendendo da loro che non abbiano certi comportamenti, che solo gli adulti dovrebbero avere. Egli impone duramente il proprio modello educativo ai figli e, spesso, li punisce fisicamente, causando profondo scontento alla moglie con cui discute violentemente, accusandola di essere una donna debole. La madre, invece, fa conoscere loro il valore dell’amore e dei sentimenti. Nella mente di Jack i due genitori simboleggiano la Natura, che è violenta e vive solo per dominare, e la Grazia, che invece è la via dell’obbedienza e del sacrificio. Jack, divenuto adolescente, rinnega l’esistenza di Dio, giunge a desiderare la morte del padre ed intraprende un percorso interiore confuso. La morte del fratello alla prematura età di diciannove anni determina un ulteriore grave disagio nel suo stato di angoscia e incertezza. Da adulto Jack è un’anima persa nel mondo moderno nel quale non riesce a trovare se stesso ed il senso della propria esistenza: il suo tormentato pensiero fluisce come un “io narrante” in cerca di risposte. Il film si conclude con una toccante visione onirica e, dopo una sorta di resa, viene finalmente “varcata” una soglia: Jack “ritrova” sua madre e i suoi fratelli, raggiungendo una consapevole riconciliazione con il padre, che in una scena fondamentale del film ammette di aver sbagliato a puntare nella sua vita sull’ambizione e riconosce che la cosa migliore della sua vita sono i suoi figli.
La grande bellezza regia di Paolo Sorrentino (2013). Jep Gambardella è un navigato giornalista di costume e critico teatrale, un uomo affascinante, impegnato per lo più a vagare tra gli eventi mondani di una Roma immersa nella bellezza della sua storia, in un contrasto impietoso con la vita d’oggi nella capitale. Cimentatosi in gioventù anche nella scrittura creativa, è autore di una sola opera, L’apparato umano. Nonostante gli apprezzamenti e i premi ricevuti, Gambardella non ha più scritto altri libri, non solo per sua pigrizia, ma soprattutto per un blocco creativo da cui non riesce a uscire. Col tempo, lo scopo della sua esistenza è diventato quello di trasformarsi in “un mondano”, ma non un mondano qualunque, bensì “il re dei mondani”, come lui stesso confessa. Partecipa ogni notte a un teatrino confuso e annoiato di amici intimi e compagni di sventure. Roma diventa teatro onirico di feste, vignette, presagi e incontri casuali; ma, soprattutto, diventa il vero palcoscenico di Jep, sempre più convinto della futilità e dell’inutilità della sua esistenza. Il sogno di recuperare la sua identità di scrittore e letterato, di ritornare a quell’innocente bellezza del primo amore adolescenziale, sembrano infrangersi di fronte allo spettacolo aberrante e miserabile con cui Jep ogni sera deve e vuole confrontarsi.
L’uomo che vide l’infinito regia di Matt Brown (2015). La pellicola, basata sul libro di Robert Kanigel, “L’uomo che vide l’infinito – La vita breve di Srinivasa Ramanujan, genio della matematica”, ambientato nell’India Coloniale del 1912, racconta la vera storia di Srinivasa Ramanujan e di un’amicizia unica che ha cambiato per sempre il mondo della matematica. Nel 1913 il genio indiano della matematica, completamente autodidatta, Ramanujan decide di lasciarsi alle spalle la giovane e amata sposa Janaki e di intraprendere un lungo viaggio che lo porterà al Trinity College di Cambridge, dove stringerà un forte legame con il suo mentore, l’eccentrico professore, G.H. Hardy. Lì Ramanujan lotterà contro i pregiudizi per rivelare al mondo il suo genio matematico e, grazie al suo impegno e al suo lavoro, riuscirà a rivoluzionare per sempre la matematica e a trasformare il modo in cui gli scienziati spiegano il mondo.
La grande scommessa regia di Adam McKay (2015). Nell’estate del 2008 una rottura improvvisa, in apparenza, a cui ha fatto seguito un’inondazione di proporzioni inaudite, tale da provocare danni mostruosi all’economia mondiale. Wall Street, il gigante dai piedi d’argilla, è stata travolta da un incontrollabile “effetto domino”, provocato dalla perdita di valore dei mutui subprime e dal conseguente fallimento di alcuni fra i principali istituti bancari statunitensi, mentre un’intera civiltà si interrogava sulla fragilità di un sistema economico che di colpo rivelava la propria intrinseca debolezza. Gli anni immediatamente precedenti a quel colossale disastro finanziario sono l’oggetto della narrazione de La grande scommessa, opera ispirata al libro inchiesta The Big Short, pubblicato nel 2010 dal giornalista Michael Lewis. La grande scommessa si serve della comicità come di un veicolo per smascherare l’assurdo: il cuore (e il bersaglio) del racconto risiede nella follia inconsapevole e autoalimentata di un sistema corrotto nelle fondamenta, come una gigantesca Torre di Babele inesorabilmente destinata al collasso. Il paradosso alla base de La grande scommessa è sintetizzato dalla “posta in gioco” dei vari comprimari, ciascuno determinato a puntare il tutto per tutto su una terrificante possibilità: l’autodistruzione dell’economia americana. Un paradosso morale e pure narrativo, dal momento che lo spettatore, portato all’empatia verso questo ristretto gruppo di outsider, condivide con loro la scommessa contro Wall Street, contro gli investimenti di milioni di cittadini americani, contro un meccanismo finanziario che, nella sua letale deriva, non potrà non provocare danni irreparabili e vittime innocenti.
Dio esiste e vive a Bruxelles regia di Jaco Van Dormael (2015). Dio è un ometto sadico che ha creato l’umanità solo per avere qualcosa da tormentare. Vive in un piccolo e lurido appartamento a Bruxelles insieme alla moglie e alla piccola figlia Ea, di cui abusa sia verbalmente che fisicamente. Egli controlla e manipola la realtà da un vecchio computer, collocato nel suo studio, nel quale impedisce a tutti tranne che a se stesso di entrare. Un giorno, per curiosità, Ea entra nell’ufficio scoprendo che, invece di proteggere e tutelare gli uomini, suo padre li maltratta e li uccide per puro piacere. Suo padre, però, la scopre e la picchia a sangue. Stanca delle continue violenze, Ea decide di scappare dalla casa dalla quale non è mai uscita, non prima di aver rivelato via SMS a tutti gli uomini la loro data di morte e di aver manomesso il computer del padre rendendolo inutilizzabile. Scesa nelle strade di Bruxelles, decide di seguire l’esempio del fratello Gesù (da lei chiamato J.C.), scappato di casa molto tempo prima, e scegliere sei apostoli ed uno scriba, che individua in un barbone, per scrivere il Nuovo nuovo testamento per cercare di rendere migliore la razza umana e sottrarla al giogo del padre. Intanto la rivelazione delle date di morte ha creato un grandissimo putiferio nel mondo con tutti gli uomini che decidono di abbandonare i posti di lavoro e di perseguire finalmente le loro passioni. Ea e il suo scriba incominciano così la ricerca degli apostoli che la bambina aveva selezionato a caso nell’archivio presente nello studio del padre.
The Help regia di Tate Taylor (2011). Jackson, Mississippi, anno 1963. Eugenia Phelan, detta Skeeter, è una giovane ragazza bianca che, dopo aver conseguito la laurea, torna a casa dai suoi genitori, facoltosi proprietari terrieri. Diversamente dalle sue coetanee, ormai sposate e dedite completamente alla famiglia, Skeeter ha come primo obiettivo la sua realizzazione lavorativa. Per questo si concentra sul piccolo lavoro che ottiene presso un quotidiano della città. Skeeter trova sempre più anacronistica la situazione dello Stato del Mississippi, profondamente caratterizzato da segregazione e razzismo. A Jackson molte donne afroamericane lavorano come domestiche presso le famiglie bianche benestanti e sono costrette a subire umiliazioni e trattamenti discriminatori, come quello di mangiare utilizzando stoviglie proprie e stando ben lontane dal tavolo dove tutta la famiglia si serve. Skeeter, per il suo progetto editoriale, pensa che possa essere originale e interessante raccontare la condizione di queste domestiche di colore, proprio dal loro punto di vista.
Il diritto di contare regia di Theodore Melfi (2016). Nel 1961 la matematica afroamericana Katherine Johnson, insieme alle sue colleghe Dorothy Vaughan, supervisore non ufficiale, e l’aspirante ingegnere Mary Jackson, lavora come calcolatrice per la NASA al Langley Research Center di Hampton. A seguito del lancio dei satelliti russi e del primo volo spaziale umano eseguito da Jurij Gagarin, il programma spaziale americano si sente forzato ad accelerare la corsa allo spazio e a lanciare al più presto l’astronauta John Glenn. Vivian Mitchell, il supervisore bianco di Katherine, la trasferisce allo Space Task Group per assistere la squadra di Al Harrison con le sue capacità nell’ambito matematico e di geometria analitica. Katherine è la prima donna di colore che lavora nel gruppo e nell’edificio intero, che non possiede quindi bagni riservati ai neri. Katherine svolge il proprio lavoro meglio che può, ma è impossibilitata dalla mancanza di comunicazione che ha con i nuovi colleghi, in particolar modo l’ingegnere capo Paul Stafford, che la trattano con poco rispetto. Nel frattempo, Vivian rifiuta di promuovere Dorothy come supervisore del settore calcolatrici, anche se lei è costretta a lavorare al posto del supervisore mancante con paga ridotta. Mary invece desidererebbe collaborare con il reparto ingegneria per contribuire a perfezionare gli scudi termici della capsula spaziale sperimentale.
Interstellar regia di Christopher Nolan (2014). Nel XXI secolo il pianeta Terra sta diventando un ambiente inabitabile per l’uomo: il cibo infatti scarseggia e immani tempeste di sabbia rendono la vita quotidiana impossibile. Il genere umano è dunque destinato all’estinzione entro due generazioni al massimo. Cooper, ingegnere ed ex-pilota della NASA, vive e lavora in una fattoria con la sua famiglia: suo suocero Donald e i suoi figli Tom e la dodicenne Murphy (chiamata Murph). La piccola Murph, prodigio della matematica, assiste nella sua stanza a stranissimi fenomeni quali la caduta di libri e di altri oggetti dalla libreria: la sua conclusione è che la stanza sia infestata da un “fantasma” invisibile che sembra cerchi di comunicare con lei in codice Morse. Durante una grande tempesta di polvere, il fantasma forma strisce di sabbia sul pavimento. Cooper intuisce possa trattarsi di codice binario e ottiene così delle coordinate geografiche. Decisi a svelare il mistero, dopo un giorno di viaggio lui e Murph arrivano nel punto indicato dalle coordinate: lì la strada termina nel nulla. Immediatamente vengono catturati e condotti in quella che si rivelerà essere la base segreta della NASA guidata dal professor John Brand. Quest’ultimo rivela a Cooper il piano della NASA per salvare l’umanità e per prima cosa gli svela l’esistenza di un cunicolo spazio-temporale, o wormhole, apertosi 48 anni prima in prossimità di Saturno. Il cunicolo infatti conduce ad un’altra galassia e a nuovi pianeti, i quali potrebbero costituire la nuova “casa” dell’umanità. Il professor Brand chiede a Cooper di dirigere e pilotare la missione esplorativa e Cooper comprende che questa rappresenta l’ultima possibilità di salvezza per l’umanità e accetta di prendervi parte.
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Land of mine è un film danese che parla di un periodo molto poco noto dell’immediato secondo dopoguerra. la Linea Gialla è un commoventissimo film che narra con la fantasia come potrebbe essere stata Angela Fresu se non forse morta il maledettissimo 2 agosto 1980 nella strage della stazione. Enemy, se ti piace Saramago, non puoi perdertelo.
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Land of mine visto, ma a parte quello che racconta come film mi pare lento, non mi ha emozionato un granchè. La linea Gialla, bellissimo, visto parecchie volte, storia che trafigge per tutta quella drammaticità da cui è tratta. Enemy non l’ho visto ma amando Saramago provvederò immediatamente a rimediare. Sai molti altri film erano in lizza ma dovendo fare un post “accessibile” ho dovuto scegliere! Ciao e grazie
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ribadisco comunque che Treno di notte per Lisbona, anche per lo “sfondo” letterario, è uno dei più bei film degli ultimi 10 anni
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a parte la bravura di Jeremy Irons è proprio per quello che mi piace
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concordo
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ciao bello! un caro saluto
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un paio di belli/molto belli però te li sei persi, vedi qui sotto e tenta il recupero.
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ok ora controllo!
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Tutti bei film che ho visto ma con diversi giudizi per esempio Midnight in Paris e La grande bellezza non li ho considerati dei ‘filmoni’ ma due omaggi a due grandi città.
Io inserirei The social network- The Artist – Manchester by the Sea (magnifico) – e un omaggio al nostro Jeeg Robot…
Grande attore che due volte si trova nei tuoi film Jeremy Irons di cui non ho perso una sola puntata della serie The Borgias. Dimenticavo Il labirinto del fauno di Guglielmo del Toro che farà piazza pulita di premi a questo Oscar con il nuovo The Shape of water.
Ma naturalmente poi è questione di gusti e scusami se ti ho rubato tanto spazio.
Sherabientot grazie
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beh, sicuramente ne mancano molti, ma dovendo scegliere per non riempire il post di titoli ho dovuto fare una cernita! Questi sono quelli che mi hanno trasmesso molto, in termini di messaggio, di emozione, di significato. Jeremy Irons è uno dei pochi attori maschili che adoro, ogni sua interpretazione lascia il segno, anche in quei film meno conosciuti. In Treno di notte per Lisbona è assolutamente grandioso. Midnight in Paris e La grande bellezza per quanto mi riguarda sono poesia, benchè due modi differenti di esserlo ma entrambi con quella carica emotiva che lascia il segno. Ho invidiato Gil in Midnight in Paris, quanto avrei voluto e vorrei fare un’esperienza di quel tipo. T’immagini che figata!
Ciao
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Abbiamo gusti abbastanza diversi ma con vo(g)liamo sul Treno di notte per Lisbona e Jeremy Irons
Eh però mi vengono ancora in mente i fratelli Taviani e il loro Cesare deve morire.
Gran figata il cinema il buon cinema.
SheragoodnightinRome
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si il buon cinema al di là dei gusti personali sa come farsi riconoscere!
Ciao
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Me ne mancano alcuni, ma ne ho visti molti.
Al di là dei gusti cinematografici, credo che in questo particolare momento storico e sociale siano principalmente due i film da suggerire e consigliare:
– THE HELP
– IL DIRITTO DI CONTARE
La necessità di sradicare il razzismo favorendo integrazione e accoglienza di chi è diverso, infatti, dovrebbe essere il punto centrale di qualsivoglia piano educativo.
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tra tutti questi la vera sorpresa è stato Dio esiste e vive a Bruxelles, un film “strano”, sopra le righe ma carico di quel fascino raro che ne fa un piccolo capolavoro!
Quelli che hai sottolineato sono film, diciamo così hollywoodiani, ma pregni di significato e senza effetti speciali. A parte la bravura degli interpreti, uno più bravo degli altri, sono capaci di trasmettere e comunicare oltre i semplici occhi, per alcuni versi sono poesia. Quando un film si fa rivedere vuol dire che ha saputo “dire”. Pensa che The Help l’avrò visto almeno dieci volte.
Ciao
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di tutti i film che hai citato ho visto “la grande bellezza” alla tv e mi sono comprato il blueray di “Interstellar”
Come ti scrissi tempo fa non vado più al cinema come una volta, negli anni ’90 ci andavo almeno una volta a settimana, ora più che altro cammino e faccio foto nel tempo libero.
Terrò a mente qualcuno di questi titoli quando li passeranno alla tv 😉
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beh, alcuni di questi titoli andrebbero sicuramente visti! Ciao Max
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Alcuni li ho visti tipo il primo.
Amo Ken Loach, questo film è stata la sua prima “commedia”.
Hai visto il ultimo film?
http://www.sullamaca.it/politica/io-daniel-blake-di-ken-loach/
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Amo anche io Ken Loach, visto anche l’ultimo, ma se devo essere sincero tutta la sua cinematografia, lontana dai riflettori -mi pare non sia tanto ben visto nei salotti “bene”- ha qualcosa che i cosiddetti esperti stentano a riconoscergli e che invece dovrebbero! La parte degli angeli comunque rimane uno dei miei preferiti! Ciao
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Ken il rosso… è un regista scomodo, mai allineato con il pensiero dominante inglese: thatcherismo e blairismo. Il film La parte degli angeli è un capolavoro perché unisce alla commedia tutti gli aspetti sociali che stanno a cuore a Loach. Buonanotte.
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esattamente così! Ciao
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Alcuni li ho visti, altri avrei voluti vederli, comunque sono deliziato da questo coincidere di gusti cinematografici…
Ciao
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beh, sono felice anche io di questa “connessione”, ciao
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