Ti ricordi quel bar di Sonora
dove il fiato scorreva come whisky
e il tatuaggio di pelle disegnava il tuo volto:
l’autobus a stelle e strisce, i cento dollari in attesa,
la polvere di fanali a bere la tua sete.
Sui marciapiedi in siesta, santini e candele
contavano misure di piedi,
fuori la strada piangeva donne.
Di fronte le mani di Maria,
appoggiate alle fatiche di agave,
si specchiavano di fede e immondizia,
mentre in fila un rantolo di luna immaginava colori.
E tu, madre, cinta di corpi, eri frontiera.
L’ultimo spasmo in fuga attraverso la corda tesa:
poche saline di meta per un copertone di sangue
e tutt’intorno il cielo dimenticato.
Dei coyote era vento il ringhio
quando le spine dei cancelli legittimavano il buio
e trafilato, come un volo d’aquila,
il tuo sogno, cadeva.
Lì, dove il deserto veste ancora rovi e divise.