Nati in piena era punk, i Police hanno ammorbidito le rudezze di quel suono dando vita a un originale reggae-rock, meno selvaggio ma sempre trascinante, e sfornando un’incredibile sequenza di classici. Non possono essere definiti un gruppo totalmente rock, non possono nemmeno essere liquidati come un semplice gruppo pop, non sono mai stati veramente punk. I Police sfuggono alle facili catalogazioni perché di fatto sono stati fuori dagli schemi soprattutto per merito dei grandi pezzi che suonavano, classici senza tempo che uscivano a fiumi dalla penna di Sting, erano suonati da musicisti eccelsi in tecnica e capacità interpretative e grazie a questo sono rimasti nel cuore di tanti, da chi ha gusti musicali più semplici a molti attenti ascoltatori rock.
Sting, vero nome Gordon Matthew Sumner, è figlio di un lattaio e di una parrucchiera di Newcastle, città portuale inglese. Spinto dal bisogno di denaro e dal desiderio di uscire dal grigiore di una vita passata tra l’ufficio imposte dove lavora e la scuola per maestri elementari della città, si dedica al jazz nei locali della zona. Il maglione a righe gialle e nere che è solito indossare in queste serate gli procura il soprannome di Sting (pungiglione).
Stewart Copeland, statunitense, figlio secondogenito di un funzionario della Cia il quale, messosi in proprio, comincia a trascinare per il mondo la famiglia, da Washington al Cairo, da Amman a Beirut, accumulando anche amicizie importanti, da Nasser a George Bush senior. Miles, il fratello maggiore di Stewart e futuro manager dei Police, segue ovviamente anch’egli la famiglia negli spostamenti, ma utilizza tutte quelle esperienze e possibilità di viaggiare per diventare un rock manager.
Mettere il cosmopolita e multilingue professionista Stewart Copeland assieme al provinciale e mentalmente ristretto dilettante Sting sembrava davvero impossibile, ma il destino segue strani schemi. Stewart recluta anche il chitarrista Henri Padovani, tecnicamente modestissimo ma grintoso, e nel gennaio 1977 il gruppo comincia a provare. Dopo nemmeno un mese i Police tengono i primi concerti suonando molto in giro e cominciano a farsi conoscere. Il problema è che Sting proprio con i punk non si ritrova, esordendo talvolta davanti al pubblico in questi termini: “Va bene. Adesso suoneremo un po’ di punk, il che vuol dire che i testi sono banali e la musica fa schifo!”.
L’energia che i tre sprigionano in concerto mette però a tacere le proteste e il loro seguito comincia a crescere. L’establishment punk dei Clash e dei Sex Pistols tollera i Police, ma li snobba considerandoli sostanzialmente degli opportunisti, il che per certi versi è anche vero: Sting usa il punk come trampolino per il successo, Stewart Copeland per rifarsi una verginità. I Police nell’aprile ’77, pagandosi pochissime ore di studio, incidono per la loro etichetta Illegal Records il primo singolo “Fall Out/Nothing Achieving”, due canzoni di Copeland che all’epoca è il principale compositore. Il singolo ha un certo successo in ambito punk..
Man mano che le composizioni di Sting prendono piede, data la maggior complessità armonica e di accordi, per Padovani diventa sempre più difficile seguirlo, così Copeland porta nella formazione il chitarrista Andy Summers, di dieci anni più anziano dei tre e con alle spalle una incredibile esperienza professionale, essendo stato fin da ragazzino con varie formazioni celebri negli anni 60, come la Zoot Money’s Big Roll Band e gli Animals, aveva inciso album con Kevin Coine e i Soft Machine, era stato chiamato da John Lord dei Deep Purple a incidere le sue composizioni per gruppo e orchestra e da Mike Oldfield a suonare nella tournée orchestrale di “Tubular Bells”. A metà del 1978, ormai senza più limiti compositivi grazie all’apporto del nuovo chitarrista, i tre trovano nella A&M la casa distributrice e sempre per la loro Illegal incidono il primo Lp, intitolato Outlandos D’Amour.
Il primo album dei Police è già denso di classici, da “Roxanne” a “Can’t Stand Losing You”, a “So Lonely”, a “Next To You”. Dopo le sfuriate iniziali delle canzoni di Copeland, con la crescita compositiva data dall’apporto di Sting, le immense capacità strumentali dello stesso batterista e l’eclettismo di Summers, i Police hanno sposato il lato più reggae del punk, facendo propria la musica giamaicana con forte personalità. C’è già in questo disco una forza granitica, data da giri di basso nitidi e avvolgenti, dalla batteria fatta di colpi secchi ed esplosivi, centrata sulla rivoluzione copelandiana del charleston usato come nessuno aveva fatto fino a quel momento, come vero e proprio fulcro del drumming, e soprattutto da uno stile di composizione da “colpo al cuore” immediato.
Con “So Lonely” è subito reggae, ma marcatamente “bianco”, in una strana combinazione estremamente personale. “Roxanne” è il primo grande classico di Sting. Sebbene sia uscita da mesi, ha incontrato problemi di censura radiofonica: poiché parla dell’amore per una prostituta, la Bbc si rifiuta di trasmetterla. Si delinea già dopo tre canzoni la vena di Sting per una scrittura dalla presa immediata fin dalle prime battute. Stessa sorte censoria di “Roxanne” toccherà anche al secondo singolo tratto dal disco, ovvero “Can’t Stand Losing You”, che parla di abbandono e suicidio. Anch’esso è praticamente un reggae bianco, uno stile che i Police chiameranno “reggatta” e che nessun’altro salvo i Clash è in grado di produrre con questa personalità. Anche qui abbiamo i tre strumenti che riempiono a turno i vuoti durante la strofa e un ritornello molto più ritmato, che si pianta nel cervello al primo ascolto.
Nel 1979 esce il loro secondo album Reggatta De Blanc, fatto di grandi e piccoli capolavori del rock più immediato, intenso e divertente. Non ci sono ancora le pretese intellettualistiche che caratterizzeranno l’ultima fase del gruppo, non ci sono più le ribellioni anarcoidi del punk, ma solo il recupero del lato più intenso del rock & roll, della sua capacità di entrare subito nel cuore di tutti con semplicità. Sta proprio in questo aspetto dell’immediatezza l’influenza del punk; un disco come questo senza il punk non sarebbe mai stato concepibile proprio perché fatto del recupero di una scrittura semplice pur nella sua raffinatezza, appunto “da classico”. E’ anche l’album dove Copeland dà il maggior apporto compositivo con ben cinque canzoni a firma anche o esclusivamente sua, tutte decisamente degne di nota, e dove egli si libera definitivamente, rivelandosi uno dei più grandi batteristi di tutti i tempi, innovativo, mai banale, con una personalità gigantesca che sarà capace di generare schiere di epigoni. Accanto a lui, Andy Summers è il compagno ideale, di buon gusto e mai fuori posto, dall’inconfondibile suono fortemente effettato con flanger e delay, con una tecnica raffinata di derivazione jazz che lo rende capace di migliorare qualunque composizione. Questi due musicisti creano il vero suono Police, che segna indelebilmente tutte le canzoni e le rende riconoscibili ancor prima che Sting apra bocca. Se aggiungiamo la istrionica sicurezza da frontman nato di quest’ultimo, la sua voce acida e personale, il suo incredibile talento di autore, abbiamo gli ingredienti di un cocktail micidiale che esplode ovunque proprio con Reggatta De Blanc.
Si parte con una delle più belle canzoni di tutti i tempi, quella “Message In A Bottle” che spiazza per la perfezione degli arrangiamenti, per la semplicità delle intuizioni, per la capacità del testo di trovare appiglio nella vita di ognuno: un gioiello rock. La batteria è semplicemente perfetta nella sua innovatività, così come il personalissimo arpeggio di Summers e il giro di basso strappato di Sting. L’interpretazione vocale è da manuale. “It’s Alright For You” è il solito pezzo al fulmicotone di Copeland, ma è la successiva “Bring On The Night” a incantare per raffinatezza e semplicità allo stesso tempo, struggente e intensa regala tre parti strumentali indimenticabili. Soprattutto l’arpeggio di Summers dà veramente il segno della sua capacità di rendere unica ogni canzone senza mai strafare, senza assoli strappabudella, con la sola forza della personalità.
“Walking On The Moon” è la miglior prova di Copeland. Un gioco di charleston che riesce a far mancare davvero la gravità a tutta la canzone sospendendola nel vuoto. La scrittura di Sting è capace di svariare, trovando con semplicità irrisoria dei ganci sempre diversi ma incredibilmente efficaci. Un altro classico del rock per tutti ed è già il terzo in un solo album. “The Bed’s Too Big Without You” è da ripescare se non altro per il particolare giro di basso, che verrà più volte plagiato e ripreso dai musicisti più disparati, semplicemente perché è ancora una volta uno standard moderno di quelli che Sting riesce a tirar fuori, ma anche la sua interpretazione è estremamente intensa. Infine “Contact” e “Does Everyone Stare” sono due pezzi di Copeland entrambi carichi di energia, ma anche di raffinatezze strumentali quasi jazzistiche.
Reggatta De Blanc lancia i Police in tutto il mondo, diventando uno dei dischi dell’anno. Tra il ’79 e l’80 i tre si imbarcano in una incredibile tournée mondiale che tocca luoghi mai raggiunti prima da una rock band. Oltre alle tappe classiche, raggiungono mete generalmente ignorate, da Hong Kong a Bombay, primo gruppo rock occidentale a suonarvi live, dal Cairo ad Atene, tenendo talvolta anche due concerti per sera.
Nell’estate del 1980 i Police registrano il loro terzo album. Zenyatta Mondatta è una delusione per tutta la stampa musicale e riceve recensioni distruttive. Anche se si nota che i tre hanno capito che basta incidere i loro rumori per (stra)vendere e che è in buona parte scontato, il disco va, almeno in parte, rivalutato. Quantomeno alcuni buoni pezzi si trovano, oltre all’ormai consueto classico di Sting, quella “Don’t Stand So Close To Me” ma anche “Driven To Tears”, che oltre ad avere la solita parte stratosferica di batteria, ha un ritornello particolare, rallentato e spezzato da continui break, e nel testo segna la “presa di coscienza sociale” di Sting. Il filone “reggatta” è stato sfruttato fino all’osso e ormai non ci sono più idee.
Nonostante le critiche negative il disco conferma lo status di superstar raggiunto dal trio che ormai ha il mondo in pugno. Adesso si tratta di riprendere il filo del discorso musicale interrotto, di evolvere verso altre sonorità rispetto a quelle già completamente spremute. Nel 1981 è dunque la volta di Ghost In The Machine. La new wave secondo i Police, la dance e il funky secondo i Police, lo si potrebbe definire in vari modi, ma di fatto, sebbene una parte della critica ormai prevenuta continui a osteggiarli, quest’album segna un punto a favore del gruppo, che sposa sonorità più cupe e atmosfere scure, cogliendo bene i molti segnali lanciati dall’universo post-punk. Gli arrangiamenti sono forse anche troppo ricchi, ma non è un’eresia dire che certe sonorità di quest’album le troveremo anni dopo nei Cure di canzoni come “Why Can’t I Be You?”. Per la prima volta, in questo disco Summers è più classicamente rock o pop a seconda dei casi, ma mai banale o già sentito. Soprattutto ora sentendo che non è certo un chitarrista da primo piano, si nota come proprio dalla seconda fila riesca sempre a lasciare un’impronta unica.
“Spirits In The Material World” presenta per la prima volta in una canzone dei Police un fitto tappeto di tastiere, che sostengono un basso pulsante mentre la voce declama un testo tra il misticheggiante e il politico. La canzone è ancora una volta segnata soprattutto dallo sferragliare del charleston e dai caratteristici colpi secchi di Copeland come la successiva “Every Little Thing She Does Is Magic”, un’altra grandissima prova del batterista, capace di rendere indimenticabile questa pop-song dal sapore caraibico. La meravigliosa “Invisible Sun” è densa, cupa, fortemente marchiata da tastiere profonde, da un ossessivo riff di chitarra e da un bellissimo testo sulla guerra civile nordirlandese.
Una svisata di chitarra introduce “Too Much Information”, un pezzo con un tiro incredibile e ancora incessanti fiati in tonalità lievemente sfasata. Dopo un’altra canzone frenetica come “Rehumanize Yourself”, arriva “One World (Not Three)”, l’ultima canzone reggae-rock che i Police metteranno su disco e che è un bell’addio al genere. “Omegaman”, di Summers, è una grande corsa rock in 4/4, fisicamente travolgente e marcata ovviamente dal riff continuo e scintillante del chitarrista. “Secret Journey” e soprattutto la conclusiva e bellissima “Darkness”, di Copeland, riportano ad atmosfere buie e nuvolose dove filtra appena un raggio di luce.
Ormai i Police riempiono gli stadi da anni, generano nel 1983 Synchronicity, un disco semplicemente fatto di classici dal primo all’ultimo secondo. Il ritmo teso e nervoso di “Synchronicity I” introduce alla psicanalisi. Un intellettualoide Sting si lancia nella rilettura di Jung, in compagnia dei barrage e degli arpeggi di Summers. La successiva “Walking In Your Footsteps” ci trascina su ritmi di elettronica tribale, in una giungla densa di vapori africani ed echi animaleschi. “O My God” ripende il tema della solitudine nella folla tanto caro al primo Sting, in una dimensione ormai da perfetto songwriter pop.
Il classico dei classici di Sting “Every Breath You Take” è la canzone pop per eccellenza, quella che si ripete sempre pur incarnandosi in vesti e con autori differenti. Come “Stand By Me” (di cui riprende il giro nella strofa, uno standard incredibilmente trasformato in qualcos’altro irriconoscibile), come “Yesterday”, come poche altre canzoni è capace di essere già nella mente dell’ascoltatore nel momento in cui viene ascoltata per la prima volta, come un archetipo, come un deja vu. Una canzone d’amore diventata uno dei massimi vertici del genere, di quelle che noi stessi vorremmo scrivere all’amata, dove però non si pronuncia mai la parola “amore”.
“Wrapped Around Your Finger” è l’ennesimo singolo di successo, ma è la successiva “Tea In The Sahara” a chiudere magnificamente l’album con una incredibile chitarra minimale che sembra perdersi in orizzonti sconfinati e ci inonda di sole e sabbia del deserto (è il “wobbing cloud”, un effetto inventato da Summers), vaporizzando letteralmente la canzone, ancora una volta in combinazione con un charleston sghembo e dal ritmo spezzato.
Terminata l’apoteosi della tournée di Synchronicity, le tensioni Sting/Copeland non sono più sostenibili. I Police si prendono così una “pausa” che dura a tutt’oggi. La band non si scioglierà mai ufficialmente, ma semplicemente Sting e Copeland cominciano a incidere album solisti, il primo continuando l’immenso successo a cui è predestinato, il secondo dedicandosi dapprima a colonne sonore cinematografiche (splendida la sua “Don’t Box Me In” con Stan Ridgway dei Wall of Vodoo al canto, tratta da “Rumbe Fish” di Francis Ford Coppola) e poi a metter su supergruppi come Animal Logic e Oysterhead, con mostri sacri come Stanley Clarke e Les Claypool. In breve anche Summers non tarda a darsi da fare con album su album di fusion o più propriamente jazz.
I Police sono stati uno dei gruppi più amati e influenti della storia, in una manciata di dischi hanno riportato il rock e il pop “di massa” a livelli impensati. Nati dal punk cui tanto devono ma da questo diversi, sono la dimostrazione proprio come altri gruppi coevi di come il rock si realizzi nelle forme più disparate restando in fondo sempre lo stesso, la grande musica popolare del Ventesimo secolo.
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Anche le notizie che formano il presente articolo sono state tratte dalla rete e in particolare da http://www.ondarock.it/rockedintorni/police.htm
Tutto sommato non mi hanno mai particolarmente entusiasmato, c’è da dire però che Walking on the moon è stata un inno e, Zenyatta Mondatta a parte, il Trio non ha mai sbagliato un disco
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beh, personalmente sono stati dei punti fermi della mia adolescenza e anche oltre
ciao
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Grazie per questo bellissimo post, scritto con la consueta precisione e competenza. Mi hai riportato indietro a tempi in cui ho vissuto questa musica amandola alla follia. In quegli anni, si frequentavano locali dove praticamente si passavano serate intere a sentire e risentire i brani dei Police e, i miei figli fanno fatica a crederlo, a ballarli…. eravamo strani? Ma quel sound così nuovo ci aveva conquistati!
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eravamo strani? Non lo so, eravamo giovani, con la voglia di spaccare il mondo, anche con la musica.
Ricordo distintamente le serate in macchina, una Fiat 128 sport bianca dell’amico Gianni, in cui i Police erano fondamento e casa, ogni brano cantato a squarciagola, ogni emozione derivata, issata a bandiera e amicizia. Gran bel periodo Pina, che a volte ritorna con una sorte di saudade che mi si ferma in gola.
Ciao carissima e buona domenica
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Mi hai fatto un grandissimo regalo Finalmente il caldo ha un po’ ceduto e lettura e musica hanno fatto il resto.
Ad essere sincera non so perché il personaggio Sting mi è sempre stato antipatico e dunque ho sottovalutato molto a quanto pare il valore dei Police.
Mi hai dato un bel compito.
sheraconunabbraccio
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si effettivamente un personaggio particolare ma di indubbia qualità che insieme ali altri due ha dato vita ad uno dei gruppi che ha lasciato un segno nella mia vita, oltre ad essere un punto fermo nel panorama musicale mondiale.
Anche qui il caldo non da tregua anche se ieri sera sembrava il diluvio universale 🙂
ciao carissima, un abbraccio a te
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buona domenica e grazie ammiro tre volte tanto la tua capacità di focalizzarti così bene e di rendere così tanto con così tanto caaaaaldo. Progetti estivi? 🚣♀️🚣♂️🛴🛴🚦
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Progetti? Mare, mare, mare
Ancora una settimana e poi a casa al sole ☀
Ciao e buona domenica
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Evviva evviva evviva buone vacanze Buon ritorno a casa!!!
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🙂
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