chiamalo vento il sorriso
senza il sale di luoghi perduti,
riempilo d’abissi, di mancanze straordinarie,
di soglie silenziose
e rendilo raro anche senza luce
come un graffio al petto,
come le albe fluorescenti
di vibrazione piana e senza resto

e tra le sconfitte notturne chiamala realtà
questa frastornata meraviglia
affacciata sui muri colorati
come il fumo che si lascia cadere,
chiamala a messa per un canto fuori strada
per gli alberi affusolati e le mance negate,
per le ragazze distanti un passo stanco
e le distanze fallite di mille piedi nudi

chiamalo dio il mare in risacca
e sogno l’inutile inizio del giorno
quel chiarore che annulla e ferisce
dove ogni direzione è acqua che passa,
di quell’infelicità calma
che in ogni onda resiste ignota,
chiamalo fulmine d’aria sola
il vecchio posto di un porto bianco