È la mia vita questa città dai mancamenti frequenti,
un concerto che mi prende più del necessario.
Tanto che a volte mi sembra di non conoscerla
altre invece mi aspetta davanti ad un soffitto
che non ha contorni da restituire.

Di quel breve incontro avuto con l’altro me
ho pochi rammendi da cucire,
qualche lieve sentinella di polvere
mi ricorda i giovani sentieri dietro casa.

Quando per non sentire il vuoto divenni splendore
e santo di ogni vicolo, pigro avventuriero
a tutti gli appuntamenti del mare.
E insieme al girotondo dei mattoni
un ritorno di vecchie donne
e alcune parentesi di giochi che assomigliavano tanto
al richiamo costante della voce.

Campagne invadenti e messe da ascoltare
si arrangiavano a tratti di mestiere,
inconsapevoli di quel fuoco che mieteva
diversi, volubili, cuori.

Era il tempo delle giostre, di quelle che arrossivano
solo per un giro, quando a destreggiarsi,
tra le gonne e il sorriso colto al volo,
bastava la moneta di un divertente per favore.
Un’arrampicata su fino al cielo
per conquistare una striscia a forma d’infinito
da offrire in pegno a tutte le mete.

Dal balcone un davanzale di mani si destinava
con tutta la tranquillità dell’acqua
e nel farlo esisteva come una proposta gentile,
degna di qualunque canto.