Si può vivere anche di giorno
per strade trasandate, alberi senza cime,
palazzi che a dire cielo
si potrebbe restare senza voce,
ciminiere che sporcano il muso alle onde
e più in là signore distinte a tavolino,
dentro un bicchiere di finto swarovski.

Poi vedi quelli che con l’aria dai tetti
si sentono uccelli, ma solo a mezzogiorno
perché verso sera solo le ombre
timbrano il cartellino. Certo non è a passeggio
che un cane trova il suo osso,
del resto anche la luce
è soltanto un giorno poco prima dei lampioni.

Un passato di bianche lenzuola
e il sole che forse potrebbe scegliere di riscaldare
basterebbero per non sentirsi col puzzo in gola.
Però è tornando verso casa
che tra i piedi si ferma la stazione,
una tappa ostinata, cartelloni ingialliti
e un capotreno che conta i giorni della pensione.

Sui muri qualche nome ricorda la via
mentre la solita massa guarda gli altri
come se non c’entrasse niente.
Tutto intorno corsie invase, clacson, motorini
ad alzo zero e guide in stato di fretta
rassicurano che tutto sarà ancora uguale.

Uguale a ieri appena arriva sera.