Nel 1964, Aldo Fabrizi venne definito dai critici americani ‘a comic genius’, dopo aver indossato sui palcoscenici di Broadway il costume di Mastro Titta, il boia di Rugantino, commedia musicale di Garinei e Giovannini. 

L’arte cinematografica ha avuto nel tempo numerosi interpreti assolutamente grandiosi, ma solo alcune caratteristiche fanno dell’interprete un assoluto signore della scena : la mimica, la partecipazione attiva -quasi si potesse toccarla quell’arte-, l’enorme capacità “trasmissiva” e teatrale e pochi sono stati grandissimi come Aldo Fabrizi.

Immagine correlataAldo Fabrizi è stato un’artista che quell’arte la resa più vera, quotidiana, titpicamente e soggettivamente popolare, un artista che ha saputo divertire divertendosi, iniziando come altri con l’avanspettacolo, esibendosi in piece che arricchiva solo con la presenza scenica, con quella capacità comunicativa che solo i grandi possiedono. Un genio mimico che non aveva eguali, (a parte Totò al quale era legato da un sentimento di amicizia e stima). In questa interpretazione, di cui allego il link, dimostra tutta la grandezza di cui è stato capace. Un tango intitolato “lulù non mi ami più“, un pezzo che definirei storico, una sequenza che rimane una delle più performanti e brillanti dell’intera scena del varietà non solo italiano. Sublime! Questa ragazzi è arte allo stato puro!!! DA VEDERE ASSOLUTAMENTE.

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Immagine correlataAldo Fabrizi (all’anagrafe Fabbrizi) (Roma, 1º novembre 1905 – Roma, 2 aprile 1990) è stato un attore, regista, sceneggiatore, produttore e poeta italiano. Tra gli interpreti più popolari e apprezzati dello spettacolo italiano. Attore intenso e versatile, nel corso della sua carriera ha avuto modo di misurarsi sia in ruoli comici che drammatici. È stato inoltre, insieme ad Alberto Sordi e Anna Magnani, una personalità essenziale per quanto riguarda la rappresentazione della romanità nel cinema.

Di umile famiglia (la madre gestiva un banco di frutta e verdura in Campo de’ Fiori), Aldo nasce al Vicolo delle Grotte numero 10 (dove ancora oggi esiste una targa commemorativa). A soli undici anni rimase orfano del padre Giuseppe, vetturino, morto per una polmonite fulminante, contratta cadendo con cavallo e carretto in un fosso romano. Costretto ad abbandonare gli studi per contribuire al sostentamento della numerosa famiglia, che comprendeva anche cinque sorelle – tra le quali Elena Fabrizi (1915-1993), in seguito soprannominata sora Lella – si adattò a fare i lavori più disparati.

Nonostante le difficoltà, la vocazione artistica di Fabrizi non rinunciò ad esprimersi: pubblicò nel 1928 nelle edizioni della Società poligrafica romana (non si sa se a proprie spese) un volumetto di poesie romanesche intitolato Lucciche ar sole, che riuscì a far recensire sul quotidiano Il Messaggero, e partecipò inoltre alla redazione del giornale dialettale Rugantino. Nello stesso periodo cominciò a calcare le scene, prima con la Filodrammatica Tata Giovanni, poi come dicitore in teatro delle sue stesse poesie, come era ancora uso in quegli anni. Nel 1931, a 26 anni, esordì come macchiettista nei piccoli teatri della capitale e in giro per l’Italia, insieme con la compagna “Reginella”, con il nome di “Fabrizio” comico grottesco romano, proponendo caricature dei tipi caratteristici romani: il vetturino, il conducente di tram e lo sciatore. Divenuto in breve tempo popolare, costituì una propria compagnia che, nel 1937, vide transitare per breve tempo un imberbe Alberto Sordi.

Nel 1942 fece il suo esordio sul grande schermo con un film diretto da Mario Bonnard, Avanti c’è posto. Anche nelle due pellicole seguenti, Campo de’ fiori, sempre diretto da Bonnard, e L’ultima carrozzella per la regia di Mario Mattoli, si limitò a riproporre le macchiette che aveva già interpretato a teatro – rispettivamente quelle del bigliettaio, del pescivendolo e del vetturino – accanto ad Anna Magnani, con la quale avrà un rapporto conflittuale.

In queste tre interessanti pellicole vi sono discorsi, battute e situazioni tipici di una Roma oramai sparita. Anche il dialetto romanesco usato da Fabrizi è, per certi versi, figlio di un modo di parlare ormai desueto. Nel film L’ultima carrozzella girato nell’estate del 1943, in piena seconda guerra mondiale, tra gli attori troviamo alcuni esponenti celebri del dialetto e della canzone romanesca del Novecento, quali Romolo Balzani, Gustavo Cacini e Anita Durante, altra stella ormai tramontata di quel variegato e onesto firmamento di attori che recitavano in vernacolo romanesco.

Si noti che durante l’Anno Santo del 1925 a Roma Aldo Fabrizi, per un certo periodo, lavorò davvero come vetturino. Si dice che lo spolverino e il berretto indossati nella pellicola del 1943 fossero gli stessi da lui usati in quella precedente, giovanile esperienza. Anche Federico Fellini, all’epoca ancora giovane e sconosciuto, lo aiuterà nella sceneggiatura. Storia diversa, invece, col film che apre ufficialmente la corrente neorealista, Roma città aperta di Roberto Rossellini, dove interpretò il ruolo più significativo ed intenso della sua carriera, ispirato alle figure dei sacerdoti romani don Giuseppe Morosini e don Pietro Pappagallo entrambi fucilati nel 1944, durante l’occupazione nazista della capitale, il primo a Forte Bravetta, il secondo alle Fosse Ardeatine.

Si dedicò anche, in maniera saltuaria, al doppiaggio: sue sono le voci di Giuseppe Varni, il bidello della scuola femminile nel film Maddalena… zero in condotta (1940) e di Gino Saltamerenda, il netturbino che aiuta Lamberto Maggiorani ed il piccolo Enzo Staiola a cercare la bicicletta rubata, nel mercato di Porta Portese, in Ladri di biciclette (1948), entrambi diretti da Vittorio De Sica.

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Da rammentare la sua interpretazione nel film di Blasetti, Prima comunione (1950), che fu premiata con un Nastro d’argento al migliore attore protagonista (il secondo Nastro d’argento lo vincerà nel 1975 per un ruolo secondario nel film C’eravamo tanto amati, di Ettore Scola). Da quel momento interpretò poco meno di settanta film, ottenendo spesso un buon successo, senza disdegnare ruoli drammatici, ma privilegiando sempre ruoli brillanti e comici, nei quali manifestò una naturale carica di bonaria umanità che lo accompagnerà durante tutta la sua carriera.

Da ricordare in particolare i film interpretati con Totò (Guardie e ladri del 1951, Una di quelle del 1953, I tartassati del 1959, Totò, Fabrizi e i giovani d’oggi del 1960, Totò contro i quattro del 1963) e con Peppino De Filippo (Signori, in carrozza! del 1951, Accadde al penitenziario del 1955 e Guardia, guardia scelta, brigadiere e maresciallo del 1956), con i quali diventerà uno dei protagonisti più importanti della commedia all’italiana.

Fabrizi era particolarmente legato con Totò da una profonda stima e amicizia, lui stesso affermò:

“Lavorare con Totò era un piacere, una gioia, un godimento perché oltre ad essere quell’attore che tutti riconosciamo era anche un compagno corretto, un amico fedele e un’anima veramente nobile… Arrivati davanti alla macchina da presa, cominciavamo l’allegro gioco della recitazione prevalentemente estemporanea che per noi era una cosa veramente dilettevole. C’era solamente un inconveniente, che diventando spettatori di noi stessi ci capitava frequentemente di non poter più andare avanti per il troppo ridere.”

Lavorò pure con il grande regista del muto Georg Wilhelm Pabst in due film: La voce del silenzio del 1953 e il bizzarro Cose da pazzi del 1953, dove interpretò quello che, sicuramente, resta il ruolo più particolare della sua carriera: un matto che crede di essere un primario ospedaliero. Tra il 1948 e il 1957 diresse anche nove film, tutti dignitosi, a partire da quello d’esordio, girato in Argentina, Emigrantes (1948), alla trilogia sulle avventure della famiglia Passaguai, della quale fu anche produttore per la sua Alfa Film XXXVII, ad Hanno rubato un tram (1954), girato a Bologna con la fotografia del grande Mario Bava, pure questo riemerso nel 2005 in DVD, fino all’accorato e malinconico Il maestro (1957), la sua ultima regia.

Sul palcoscenico del Teatro Sistina, nella stagione 1962-1963, ottenne un grande successo personale interpretando il ruolo del boia papalino Mastro Titta nella commedia musicale Rugantino scritta e diretta da Garinei & Giovannini, Massimo Franciosa e Pasquale Festa Campanile. Il grande trionfo fu completato da una memorabile trasferta negli Stati Uniti, a Broadway, dove lo spettacolo registrò sempre il tutto esaurito. L’ultima sua apparizione teatrale è del 1967, con lo spettacolo Yo-Yo Yè-Ye scritto da Dino Verde e Bruno Broccoli. Ritornerà ad interpretare Mastro Titta in Rugantino nell’edizione 1978 della commedia.

Per il Teatro Verdi (Trieste) nel 1970 è Zanetto Pesamenole (Donna Pasqua) ne Al cavallino bianco con Tony Renis, Sandro Massimini e Graziella Porta nel Teatro Stabile Politeama Rossetti.

Sul piccolo schermo esordì nel 1959, come interprete dello sceneggiato di Leopoldo Cuoco e Gianni Isidori “La voce nel bicchiere”, diretto da Anton Giulio Majano. Per molto tempo, preso da impegni cinematografici e teatrali, sarà questo il suo unico lavoro televisivo, fino al 1971, quando ottenne un altro grande trionfo nel varietà del sabato sera Speciale per noi diretto da Antonello Falqui, accanto ad Ave Ninchi, Paolo Panelli e Bice Valori, che è anche l’unica testimonianza visiva rimasta delle sue macchiette teatrali. L’ultima apparizione televisiva avvenne nel corso del G. B. Show, in onda su Raiuno, il 27 agosto 1987, in cui ripropose da Rugantino: ‘na donna dentro casa è ‘n antra cosa.

Di buona forchetta come l’amico e collega Ugo Tognazzi, coltivava l’hobby della gastronomia e amava in modo particolare gli spaghetti con aglio, olio e peperoncino. Sulla pasta e le sue tante e diverse ricette scrisse anche alcune poesie in dialetto romanesco.

« Magnà e dormì
So’ du’ vizietti, me diceva nonno,
che mai nessuno te li pò levà,
perché so’ necessari pe’ campà
sin dar momento che venimo ar monno.
Er primo vizio provoca er seconno:
er sonno mette fame e fà magnà,
doppo magnato t’aripija sonno
poi t’arzi, magni e torni a riposà.
Insomma, la magnata e la dormita,
massimamente in una certa età,
so’ l’uniche du’ gioje de la vita.
La sola differenza è questa qui:
che pure si ciài sonno pòi magnà,
ma si ciài fame mica pòi dormì. »

Fabrizi, sposato con Beatrice Rocchi, cantante di varietà molto nota negli anni venti col nome d’arte di Reginella, dalla quale ebbe due figli gemelli (un maschio e una femmina), rimase vedovo nell’estate del 1981. Abitava a Roma in via Arezzo, nel quartiere Nomentano, nello stesso edificio dell’amica Ave Ninchi. Morì il 2 aprile del 1990, a 84 anni per una insufficienza cardiaca. Tre anni dopo lo seguì anche la popolarissima sorella, la sora Lella, che aveva recitato nel cinema soprattutto con Alberto Sordi e Carlo Verdone. È tumulato al Cimitero Monumentale del Verano di Roma. Sull’ingresso della cappella è ben visibile la scritta “Aldo Fabrizi” (con una sola B) mentre all’interno, sulla lapide che copre la bara, oltre alle date di nascita e morte, c’è la scritta “Aldo Fabbrizi” (con due B).


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*notizie tratte in rete in particolare da www.wikipedia.it, il tutto raccordato da alcune note personali